Ieri notte siamo tornati alle 3.45, con somma gioia -ehm- di Mangla che a momenti ci aspettava con il mattarello in mano.
Come previsto, siamo andati all’Assi ghat, dove ci siamo ritrovati nel bel mezzo di un’invasione di cavallette. Che ovviamente facevano festa, con tutte le luci accese! (poi non importa che nelle case la corrente vada via per svariate ore, sono dettagli!) Abbiamo mangiato una pizza commestibile e una torta di mele con gelato alla vaniglia deliziosa. Io ho bevuto lemon soda, che non è la roba chimica che vendono da noi: è proprio succo di limone con soda, che buono! Poi che ridere, sono andata in bagno e qui non si usa la carta igienica: in genere c’è una turca e un rubinetto basso vicino con un contenitore di bronzo per potersi sciacquare una volta finiti i propri bisognini. Siccome il rubinetto perdeva, ho intelligentemente pensato di chiuderlo, ma ha cominciato a schizzare ovunque e io mi sono ritrovata bagnata fradicia.
Finito di mangiare, ci siamo seduti sui ghat ad assistere ad un festival kitchissimo, evidentemente molto popolare a Varanasi, e abbiamo potuto seguire una performance molto bucolica, con musica indiana-yodel e capretta tra gli spettatori. Mancava giusto Heidi! (ecco a voi un assaggio:
Come previsto, siamo andati all’Assi ghat, dove ci siamo ritrovati nel bel mezzo di un’invasione di cavallette. Che ovviamente facevano festa, con tutte le luci accese! (poi non importa che nelle case la corrente vada via per svariate ore, sono dettagli!) Abbiamo mangiato una pizza commestibile e una torta di mele con gelato alla vaniglia deliziosa. Io ho bevuto lemon soda, che non è la roba chimica che vendono da noi: è proprio succo di limone con soda, che buono! Poi che ridere, sono andata in bagno e qui non si usa la carta igienica: in genere c’è una turca e un rubinetto basso vicino con un contenitore di bronzo per potersi sciacquare una volta finiti i propri bisognini. Siccome il rubinetto perdeva, ho intelligentemente pensato di chiuderlo, ma ha cominciato a schizzare ovunque e io mi sono ritrovata bagnata fradicia.
Finito di mangiare, ci siamo seduti sui ghat ad assistere ad un festival kitchissimo, evidentemente molto popolare a Varanasi, e abbiamo potuto seguire una performance molto bucolica, con musica indiana-yodel e capretta tra gli spettatori. Mancava giusto Heidi! (ecco a voi un assaggio:
Poi la Silvia ha cominciato a giocare con dei cagnolini cuccioli che c’erano lì, tutti pelle ed ossa. È incredibile come qui tutti i cani siano uguali, scheletrici, beige chiaro, quasi senza pelo. Molti stanno al calduccio sotto i fornelli dei negozi di dolcetti. Tutti passano il tempo a grattarsi, chissà quante pulci, zecche ecc ecc… altro che Frontline!
Poi siamo finalmente andati alla festa, eravamo in 7 su una Peugeut bianca, e ci sentivamo addirittura comodi, abituati come siamo ai risciò!
Eravamo una quindicina in tutto alla festa, con Nawal a presiedere e a rimarcare il proprio ruolo, tra svariate bottiglie di alcool sul tappeto. Non bevevo birra da quando ero in Italia, qui non la servono neanche al ristorante, per non parlare del vino!
Un amico di Pasto di cui non ricordo assolutamente il nome ballava nel suo Bollywood style, una ragazza equadoregna ci insegnava i passi di ballo latinoamericano e io mi esibivo nella danza della panza.
La festa è stata carina, poi alle 3 siamo andati alla ricerca di un risciò, ma ce n’era solo uno in giro e sarebbe stato assurdo pensare di starci in quattro (io, la Michy, la Cri e la Silvia, mentre Pasto e Dinita tornavano in motorino), anche se il riksciòwalla ci stava provando, a portarci. Trovato il secondo risciò abbiamo attraversato una Varanasi deserta, quasi una città fantasma, desolata, inquietante. Sotto i cancelli dei negozi (qui non ci sono molte saracinesche) si ammassavano uomini e donne addormentati. Un baba rubava il borsone-cuscino da sotto la testa di un uomo che russava. I cani giacevano in mezzo alla strada, a fianco di vacche, tori e bufali. Qualche bottega di paan (un insieme di erbe digestive e tabacco che qui masticano continuamente, e poi sputano, lasciando delle grosse chiazze rosse per terra) era ancora aperta, però, e addirittura c’erano crocchi di adulti e bambini che raccoglievano mattoni. Era incredibile vedere Godolya, una delle rotonde più trafficate, caotiche, babeliche e pericolose, completamente vuota, silenziosa, buia. Sembrava quasi di essere in un film western.
Aveva ragione Pasto quando diceva che qui a Varanasi non esistono vie di mezzo: è una terra di dicotomie, contrasti, molto più di qualsiasi altro posto dell’India, dove la vita e la morte sono così vicini, e matrimoni e funerali si celebrano a pochi passi di distanza l’uno dall’altro. Dove si va per fare un pellegrinaggio e si spera di morire cremati sulle sponde della sacra Ganga (il Gange, così come tutti i fiumi indiani, è considerato una divinità e, a parte rari casi, si tratta di divinità femminili) per potersi meritare direttamente il moksha, la liberazione dal ciclo di morti e rinascite che è il samsara.
Stanotte per di più, ho dormito pochissimo, perché in questi giorni mi hanno trasferito nel dormitorio al primo piano, e qui alle 7 cominciano a gridare, a suonare, poi c’è il baba che comincia a cantare… Fatto sta che mi sono alzata con la luna storta. Poi sono andata a lezione da Raju e poi ho fatto il riposino.
Per oggi è quanto.
Sò!
Poi siamo finalmente andati alla festa, eravamo in 7 su una Peugeut bianca, e ci sentivamo addirittura comodi, abituati come siamo ai risciò!
Eravamo una quindicina in tutto alla festa, con Nawal a presiedere e a rimarcare il proprio ruolo, tra svariate bottiglie di alcool sul tappeto. Non bevevo birra da quando ero in Italia, qui non la servono neanche al ristorante, per non parlare del vino!
Un amico di Pasto di cui non ricordo assolutamente il nome ballava nel suo Bollywood style, una ragazza equadoregna ci insegnava i passi di ballo latinoamericano e io mi esibivo nella danza della panza.
La festa è stata carina, poi alle 3 siamo andati alla ricerca di un risciò, ma ce n’era solo uno in giro e sarebbe stato assurdo pensare di starci in quattro (io, la Michy, la Cri e la Silvia, mentre Pasto e Dinita tornavano in motorino), anche se il riksciòwalla ci stava provando, a portarci. Trovato il secondo risciò abbiamo attraversato una Varanasi deserta, quasi una città fantasma, desolata, inquietante. Sotto i cancelli dei negozi (qui non ci sono molte saracinesche) si ammassavano uomini e donne addormentati. Un baba rubava il borsone-cuscino da sotto la testa di un uomo che russava. I cani giacevano in mezzo alla strada, a fianco di vacche, tori e bufali. Qualche bottega di paan (un insieme di erbe digestive e tabacco che qui masticano continuamente, e poi sputano, lasciando delle grosse chiazze rosse per terra) era ancora aperta, però, e addirittura c’erano crocchi di adulti e bambini che raccoglievano mattoni. Era incredibile vedere Godolya, una delle rotonde più trafficate, caotiche, babeliche e pericolose, completamente vuota, silenziosa, buia. Sembrava quasi di essere in un film western.
Aveva ragione Pasto quando diceva che qui a Varanasi non esistono vie di mezzo: è una terra di dicotomie, contrasti, molto più di qualsiasi altro posto dell’India, dove la vita e la morte sono così vicini, e matrimoni e funerali si celebrano a pochi passi di distanza l’uno dall’altro. Dove si va per fare un pellegrinaggio e si spera di morire cremati sulle sponde della sacra Ganga (il Gange, così come tutti i fiumi indiani, è considerato una divinità e, a parte rari casi, si tratta di divinità femminili) per potersi meritare direttamente il moksha, la liberazione dal ciclo di morti e rinascite che è il samsara.
Stanotte per di più, ho dormito pochissimo, perché in questi giorni mi hanno trasferito nel dormitorio al primo piano, e qui alle 7 cominciano a gridare, a suonare, poi c’è il baba che comincia a cantare… Fatto sta che mi sono alzata con la luna storta. Poi sono andata a lezione da Raju e poi ho fatto il riposino.
Per oggi è quanto.
Sò!
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