martedì 11 settembre 2012

Dal sesso tantrico alla necrofagia: luoghi comuni, leggende metropolitane e balle colossali

Il fatto che io non sia più in India non mi impedisce certo di scrivere, ché poi si sa che sono una grafomane e soprattutto che ho da ridire su tutto.
E allora stavolta parliamo di... Di... SESSO TANTRICO! Olè, chissà quanti lettori (e maniaci) attirerà questo post.

Ovviamente ne parlo per smontare tutti gli stereotipi che ci costruiscono sopra gli occidentali, un po' come la storia del Kama Sutra. 

Riprendo in mano il mio adorato libro "Sanathana Dharma" di Stefano Piano e i miei appunti del primo anno e vi ripropino tutta la pappardella. E quindi iniziamo dall'etimologia: "Kama", l'amore carnale, l'eros, la passione (quella roba che ti viene che c'hai la fregola, praticamente); e "sutra", regola, "aforismi sull'eros", insomma. Ammazza che roba osè.
L'uomo adulto, sposato, dovrebbe perseguire un fine ultimo, che è il moksha, la liberazione dal samsara. Nel frattempo, però non è che debba per forza annoiarsi a morte, ci mancherebbe: finché vive nel mondo terreno deve perseguire tre obiettivi: il kama (inteso anche come piacere materiale in senso lato), l'artha, la ricchezza e il successo, e il dharma (che fate poco i fighi che sapete già cos'è: è l'ordine, la giustizia).
Tutto ciò finché non crepa, o almeno non va a vivere nella giungla con Mowgli per poi diventare un samnyasin.
Comunque spiego tutto in questo post, se non avete niente di meglio da fare: http://varanasindiario.blogspot.it/2009/09/treno-kashi-vishwanath-delhi-varanasi.html

Per kama s'intende anche la fruizione estetica, che fa molto sindrome di Stendhal. Ebbene, il protagonista di questi aforismi è un uomo raffinato, un uomo di città, che si trova di fronte al problema di contenere le proprie pulsioni erotiche; deve insomma tenere a bada i suoi ormoni, che diciamolo, per gli indiani è sempre una gran fatica. Non che per gli altri sia facile, eh, ma per i discendenti di Bharata si tratta di una vera e propria piaga sociale.
Allora ecco che all'uomo in preda alle fregole vengono prospettate tre strade:
  • Rinunciare totalmente ai piaceri della carne (e non parlo di bistecca, che è ovviamente bandita) per intraprendere la vita ascetica;
  • Riversare tutto l'ammòre, la tenerezza e la devozione (bhakti) nei confronti della divinità;
  • Ricongiungersi con il principio divino attraverso il kama vero e proprio, ovvero l'atto sessuale (ma non solo) sublimato.

Allora, se l'uomo deve riprodurre l'amplesso divino tra Shiva e la sua Shakti (che, oltre ad essere il secondo nome della mia futura figlia, significa "forza", ed è la parte attiva e dinamica, la parte femminile della divinità), le cose devono essere fatte proprio bene. Come dio comanda, insomma. Quindi a seconda di come è lui e a seconda di come è lei bisogna farlo: solo in un certo momento del giorno (o della notte), solo con certa musica, solo in certe posizioni assurde, che ti sloghi l'anca solo a guardarle, e magari devi persino chiedere l'aiuto del pubblico perché in due non ce la fate. Finisce che ti rompi e fai prima a farti passare la voglia, e ti dici che, se proprio devi contorcerti, allora è meglio una partita a Twister.
In ogni caso, il Kama Sutra non parla solo di sesso, ma soprattutto di regole di vita civile, e spreca un sacco di parole su come trovare moglie, che chiaramente deve essere sempre bella e piacente e soprattutto disponibile. Ovviamente un trattato sul maschilismo. E del piacere femminile non si fa proprio menzione, ça va sans dire.
Seguìto alla lettera, dunque, il Kama Sutra è una palla mortale. Facciamocene una ragione. Gli indiani hanno già rinunciato a seguire pedissequamente quelle regole da qualche millennio, ci sarà un motivo.
Per gli anglofoni nullafacenti -in questo momento, non in generale nella vita, dico- interessati all'argomento, consiglio questo illuminante articolo, che offre una versione moderna e non sessista di questi "Aforismi sull'eros", dal punto di vista femminile:
http://indiatoday.intoday.in/story/kamasutra-from-woman-perspective-k-r-indira/1/198603.html

Dopo aver smontato uno dei miti dell'India, passiamo al tantra.
Ho visto che in giro per Milano ci sono dei corsi di "yoga tantrico", addirittura scontati del 70% su Groupon. Tralasciamo il fatto che in quella scuola di danza-yoga ecc io ho fatto una lezione di danza di Bollywood. E ho riso tantissimo perché l'insegnante faceva la galla che lei è stata di qua, lei è stata di là, lei ha viaggiato l'India in lungo e in largo e parla hindi come un'indiana... In realtà io e le mie socie abbiamo riso fino alle lacrime per la pronuncia maccheronica di PUnjab, JEIpur e spiegava talmente bene che qualche alunna ha pensato che "chalo chalo", che significa "andiamo" fosse un modo per salutare. 
Comunque, in questo luogo dove, come avrete capito, la cultura indiana regna sovrana, scevra di cliché e di stravolgimenti all'italiana, fanno dei corsi di tantra yoga.

Ma intanto concentriamoci sullo yoga in sé. Innanzitutto yoga si pronuncia con la "o" chiusa, e giuro che è stata una delle scoperte più sensazionali della mia vita. Yoga è stata la parola che la nostra guruji ha scelto per dimostrarci che il sanscrito è la madre di tutte le lingue indoeuropee: infatti yoga corrisponde al nostro "giogo", "unione", dove la matrice comune è yug. Lo yoga rappresenta infatti l'unione della mente e del corpo, e, di conseguenza, l'unione con Dio, e se ci pensiamo anche i romani dicevano mens sana in corpore sano, e forse lo cantava pure Raf.

Lo yoga, praticato secondo dettami ben precisi, con costanza e dedizione assoluta, è una delle vie per conseguire il moksha. Ciononostante, dubito che Madonna possa raggiungere la liberazione solo per qualche contorsione ritoccata da photoshop.

E ora arriviamo al Tantrismo propriamente detto, che è una religione, una setta (ricordo che nell'induismo non esiste il concetto di eresia) legata in genere al culto della Dea, la Shakti.
Io lo so che la maggior parte delle persone hanno sentito parlare di tantra grazie a Sting, che dice di praticarlo ormai da anni e che le sue prestazioni sessuali sono migliorate tantissimo, e la moglie è tanto felice e soddisfatta. Ma. Ma. Sting è un grande, e siamo d'accordo. Ma dal momento che noi povere mortali non possiamo appurare e apprezzare questa sua dote, be', possiamo anche fregarcene. In compenso, mi chiedo che religione segua Bruce Springsteen, che a sessanta e passa anni può fare un concerto a Milano e suonare per tre ore e quaranta senza mai fermarsi. Che in fondo è l'unica durata che può interessare ai fan. 

Il Tantrismo si fonda sui Tantra (letteralmente "telaio"), trattati che risalgono al V-VI secolo. 
Secondo il signor Filippani Ronconi, gli aspetti caratterizzanti dei Tantra sono:
  • Il concetto del divino come coppia, costituito da una parte maschile e una femminile, Shiva e Shakti.
  • La corrispondenza tra microcosmo e macrocosmo.
  • Lo yoga. Lo so che quando parlo di qualcosa parto sempre da Adamo ed Eva, o dal Purusha nel caso hindu, ma poi arrivo al punto. Ci sono diverse forme di yoga legate al tantrismo, tra cui hatha yoga (yoga della Forza) e kundalini yoga. Il corpo "sottile" è fatto di canali, cerchi (i celeberrimi chakra) che conducono la kundalini (la capacità generativa presente nel corpo, raffigurata in forma di serpente avvolto nelle sue spire) attraverso le posture, il respiro e tanta, tanta fatica, verso il ricongiungimento con Shiva, che si trova proprio sulla sommità del capo e consente infine l'unione con il principio unico, il Brahman.
  • La concezione fonematica della Realtà, in particolare i mantra, suoni che in sé racchiudono preghiere e un mondo intero. È questo il caso della sillaba ohm, di cui magari parlerò più avanti, visto che si tratta di un argomento che mi sta particolarmente a cuore.
  • Diagrammi e cerchi magici. Sì, lo so che non ve ne frega niente, ma è per dovere di cronaca e per completezza, io l'ho detto che il tantra non è la roba pruriginosa di cui parla Sting.
  • Il guru e l'iniziazione: nella cultura indiana è sempre fondamentale la figura del maestro (io, personalmente, ho una Maestra, la mia guruji, dove la particella ji indica rispetto), e il rituale di iniziazione che, se leggiamo qualche libro di antropologia, è presente in tuuuuutte le culture, e rappresenta lo spartiacque tra una fase della vita e un'altra.
  • La puja, cioè l'adorazione, in cui l'adepto affida ogni parte del proprio corpo a una divinità, affinché il suo corpo mortale diventi un corpo divino.  
Ci tengo a precisarlo ogni volta, perché poi lo so che si sentono tante assurdità, ma L'INDUISMO NON È UNA RELIGIONE POLITEISTA. Il senso del divino è uno, unico, ma ognuno può scegliere un dio o una dea preferita, un po' come nella religione cattolica ci si può affidare a San Gennaro perché si è di Napoli, piuttosto che a Sant'Antonio se si è leghisti. Anche per il fedele hindu Dio è UNO, ma ricordiamoci che l'India è un subcontinente, ha subìto tantissime influenze dall'esterno che non ha rigettato, ma anzi: le ha incamerate e fatte proprie. E nell'induismo non esiste un super capo religioso che decide cos'è giusto e soprattutto cos'è sbagliato.
Il tantrismo in sé non prevede necessariamente l'atto sessuale. L'adepto può intraprendere diverse diverse vie (la mia guruji lo dice sempre, che gli indiani devono sempre spaccare il capello in quattro, e spesso anche in sedici), sette, per la precisione. Tra queste, solo tre comportano l'unione sessuale, fino a raggiungere la dimensione divina. L'adepto si congiunge con la compagna femminile (shakti pure lei) in un amplesso rituale, che oggi è perlopiù simbolico, e che permette di risvegliare la famigerata kundalini shakti fino a sublimarla.

La coppia divina è spesso presente nell'iconografia hindu, basti pensare a Krisha e Radha, il mandriano che attira le bestie e le gopi, ma la sua preferita rimane ovviamente Radha. 
Gli Hare Krishna sono quelli che ballano per le strade e suonano il flauto vestiti di quel color salmone marcio che non si può guardare. E, come dice la mia amica Terry, come si fa a credere a uno con l'incarnato blu puffo che va in giro a suonare il piffero e a giocare a nascondino con le cow-girl?

Shiva è spesso rappresentato dal lingam, il simbolo fallico che è sempre inserito nella sua base, la yoni, che ovviamente raffigura il sesso femminile.

So che all'occhio occidentale vedere i fedeli -maschi e femmine- inginocchiarsi davanti a tale raffigurazione fallica può sembrare blasfemo, ma insomma, poi ci si abitua. Più o meno, dico. Qualche ghignatina scappa di default.
Per tornare al tantra vero e proprio, ormai è una pratica perlopiù simbolica, anche se non mancano delle correnti nascoste che praticano ancora, così come, da qualche parte, ci sono ancora i thug, i banditi che offrono sacrifici umani in nome della dea Kali (senza l'accento sulla "i") e pure gli aghora, considerati anch'essi adepti del tantrismo, ma che invece di copulare mangiano le ceneri e le ossa dei morti per acquisire tapas, l'energia che scaturisce dall'ascesi. Non è che non ce ne siano, in India, ma non sono certo la regola, bensì tradizioni ataviche che resistono, come énclave sotterranee e segrete, malgrado il tempo, le convenzioni sociali e le leggi. Anche se quando Ale aveva detto di aver visto un aghora sui ghat a Varanasi sgranocchiare con voracità un osso umano, mi aveva fatto parecchio impressione, se non schifo.

Lo yoga in Occidente è ormai ridotto perlopiù a mera ginnastica, al massimo finalizzato al benessere psicofisico, ma non certo all'unione con il Divino. E, come tutto ciò che viene importato, tende a perdere il significato che lo caratterizzava in origine. 

Quindi, per concludere. Se avete intenzione di seguire un corso di yoga tantrico pensando di poter risparmiare sulle pillole blu resterete assai delusi. E, soprattutto, assicuratevi di non dovervi cibare di ossa umane. CRUNCH CRUNCH.

lunedì 19 marzo 2012

Degli italiani in India: post semiserio su Marò, scoppiati, filantropi, no-tav tribali e black bloc maoisti

Uff, quanto tempo che non scrivo su questo mio taccuino di viaggio virtuale...
No, non sono in India... Non so neanche quando ci tornerò. E sì, mi manca da morire, ma al momento ho -purtroppo- altre priorità.

Non si parla mai dell'India, tranne quando ci sono dei cristiani che vengono ammazzati nelle zone tribali più sperdute, dai soliti fondamentalisti hindu frustrati. Tutto ciò per la gioia dei giornalisti italiani, che finalmente trovano un'occasione per ammazzare la lingua hindi coi loro strafalcioni, nonché dei leghisti, che in questi avvenimenti trovano la conferma che oltre il Po sono tutti dei caproni incivili e che poi vengono qui a rubarci il lavoro, le mogli, e pure l'argenteria.

Ma ecco che, nel giro di pochissime settimane, i giornalisti tirano fuori il loro asso nella manica: cià, diciamo qualche scemata sull' India. Improvvisamente. Un'emozione fortissima sentir parlare dei due Marò arrestati, proprio alla vigilia delle elezioni in Keràla. O Keralà? Vi tolgo dall'impiccio, si dice Kérala. E, guarda un po', parliamo di uno stato che non è lo staterello sfigato abitato solo da pescatori. Il Kerala è lo stato più ricco dell'India, con un tasso di alfabetizzazione che supera il 90% (l'Italia se lo sogna).
Personalmente non ho seguito granché la vicenda, se non per correggere la pronuncia dei giornalisti, ma da quel poco che ho evinto è emerso che:
-Gli indiani sono tutti dei poveretti sfigati;
-I politici indiani se ne sbattono degli italiani (eppure non ci trovo nulla di così diverso rispetto agli altri politici europei);
-I poveri Marò in carcere mangiano cibo italiano.

Vorrei soffermarmi su quest'ultimo punto. Chi cucina cibo italiano per loro??? No, perché io me li immagino, 'sti cuochi intoccabili delle carceri del Kerala, che preparano buste Maggi e aggiungono almeno tre chili di peperoncino, perché nel sud dell'India sia mai che lesinano sul piccante.

Non fraintendetemi: non ce l'ho particolarmente né con i militari italiani né con gli indiani. Mi auguro che 'sti Marò un po' polli vengano liberati dalle loro sbobbe a base di vermicelli Maggi e giudicati seriamente, com'è giusto che sia.

Quello che mi urta è come l'argomento India viene trattato in Italia. Ma per fortuna, senza neanche bisogno che si sgonfiasse troppo la vicenda, abbiamo trovato un altro motivo per (stra)parlare di India.
Olè. Sentivo la mancanza di quell'accento messo sempre a muzzo. Quindi anche Orìssa pronunciamolo come [òrissa], sia mai che si azzecchi, una volta.
Pane per i miei denti, chevvelodicoafà.
Fonetica a parte, sentite un po' che storia assurda.
C'era una volta una terra lussureggiante, in mezzo alla natura incontaminata del golfo del Bengala... Tra le liane, le tigri, e Mowgli...
A proposito. Devo assolutamente aprire una parentesi. Ve lo devo dire. Il libro della giungla, ce l'avete presente? Vi ricordate i nomi degli animali? Baloo, Sher Khan, Baghera, Hathi... Ecco. Quelli sono semplicemente i nomi in hindi degli italiani, leggermente "italianizzati" per renderli più facili da pronunciare e ricordare.
Baloo, da "bhaalu", orso
Baghera, da "baagh": nel cartone è la pantera, in hindi è la tigre, ma in latino si chiama "panthera tigris", quindi direi che tutto torna.
Sher Khan, da "sher", leone, o tigre e "Khan", titolo onorifico musulmano (come Aga Khan)
Hathi, da "haathi", ovvero l'elefante, "il manuto": in hindi "haat" è mano, la proboscide è la manona di questo animale così amato in India (vedasi alla voce dio Ganesh)
Del resto, "Il libro della giungla" è stato scritto da un signore che si chiamava Rudyard Kipling, e non stiamo parlando della versione anglo-indiana di Melissa P., per dire.

Tornando a noi... Perdo il filo del discorso anche quando scrivo, vabbè.
Ok, dopo questa breve interruzione, addentriamoci tra le fresche frasche della giungla (altro nome mutuato dalla hindi: "jangal") più selvaggia (se volete una descrizione accurata vi consiglio Salgàri. Lui non c'è mai stato in Bengala, ma se è per questo neanch'io, e almeno lui non aveva nient'altro da fare che rinchiudersi in biblioteca a erudirsi riguardo a storia, geografia e botanica di paesi lontani. Beato lui, eh!) dove vivono, guarda un po' te che roba, delle popolazioni tribali. Ammazza che strano. E che affronto. Come si permettono, 'sti qui, di vivere senza elettricità, acqua corrente, al di fuori delle convenzioni della società occidentale.
Questi "adivasi", nome con cui vengono indicate le varie popolazioni tribali in India, costituiscono oltre l'8% della popolazione. Nella società hindu sono praticamente considerati alla stregua degli intoccabili propriamente detti, ma in fondo ad alcuni di loro non interessa proprio perché sono davvero fuori dalla società. Non tutti, però. Per questo, la Costituzione Indiana tutela le cosiddette "Scheduled Castes and Scheduled Tribes", concedendo loro quote al governo, nei posti pubblici, nelle università e così via.
Questo perché non tutti i tribali passano il tempo con le pannocchie a coprire le pudenda e a lanciare frecce.

Ma gli adivasi sono tantissimi in India. E sono un po' ovunque. Non vuol essere una minaccia, ma insomma, ce ne sono un po' che vivono tranquillamente facendosi i cavoli propri senza l'elettricità.
E qui casca l'asino. Perché eccolo l'italiano fricchettone, cresciuto tra gli agi della società occidentale, che a casa non sa fare a meno degli spaghetti al ragù di mammà, del cellulare con l'ultima suoneria col gattino che canta la lambada e l'iPad, che non si sa come si usa, ma fa figo. Eccolo che decide di partire per l'India, l'ultima frontiera di coloro che non sanno che cavolo fare della loro vita, che si sono stufati di tutto e di tutti e che, magari, dopo essere stati mollati dal/la fidanzato/a che magari nel frattempo ne ha trovato uno/a migliore (saranno mica tutti sfigati come me!) decidono di partire per l'India. ALLA RICERCA DI SE STESSI. Chi mi conosce un po' sa quanto io nutra una profonda idiosincrasia per quest'espressione, legata immotivatamente, ma altrettanto irrimediabilmente, all'India. Un po' come odio la combo "India + volontariato".

Le persone che in India mi hanno detto di essere "alla ricerca di se stessi" (anche nella variante entusiasta "l'India mi ha cambiato la vita"... Anche a me, quando avevo l'ameba. Non avete idea di quanto io sia dimagrita) erano, e cito solo gli italiani della categoria:
-Scoppiati che andavano in giro a leggere la mano e col pendolino a esaminare i chakra (non i miei), per poi sentenziare seriosi che, ma guarda un po', il chakra bloccato era quello pelvico. E indovinate un po' cosa si deve fare per sbloccarlo. Un tizio che, da gran conoscitore della cultura indiana qual era, si era messo a darmi i due baci sulla pubblica piazza di Varanasi. Praticamente un po' come consumare un amplesso sulla spiaggia affollata di Rossano Calabro. Che strano che tutti ti guardino e ti additino come un pervertito, mentre io mi ritraevo schifata, manifestando tutto il mio disappunto. Proprio strani 'sti indiani.
-Hippy della mutua che vanno in giro vestiti di stracci, con gli immancabili dreadlocks e soprattutto a piedi nudi "perché cioè così senti veramente il contatto con la madre terra, cioè, le vibrazioni". Così ciacchi tante di quelle merde che ti ci potresti fare un monumento, e le vibrazioni sono quelle per i brividi della febbre per le malattie che ti pigli, oltre ai funghi allucinogeni che ti spunteranno, da far invidia ad Alice. Altro che "paese delle meraviglie"! (ne ho sicuramente parlato in qualche post, voi leggete un po' indietro, vi prometto che non ve ne pentirete!)
-Tardone borghesi-ex cielline che vanno a farsi infinocchiare da santoni tipo Sai Baba (quando sono andata io in India lui era ancora vivo), che pareva facesse miracoli tipo re Mida e, già che c'era, si faceva anche qualche ragazzino. Molti, purtroppo. Troppi.
-Giovani milanesi alternative che hanno già provato tutte le droghe sul mercato meneghino e decidono di esplorare quello indiano, facendosi accompagnare in viuzze anguste e malfamate da brutti ceffi sconosciuti, per "provare nuove emozioni". Tizie, e i più attenti sanno pure di chi parlo, che, oltre ad abbracciare droghe (nella fattispecie eroina), piedi nudi e pidocchi, decidono anche di lasciar tutto per vivere sugli alberi, nella giungla.

Spero che il quadro vi sia più chiaro. Non vi è nulla di inventato o di esagerato: i toni sono più smorzati del mio solito, addirittura. Queste sono le tipiche persone che giungono in India per "trovare se stessi" e che poi ritorneranno all'ovile tra i loro tablet, Sky calcio e la Smart, e il loro unico problema esistenziale resterà il dilemma natalizio "pandoro o panettone?"; be', sono queste le persone che sicuramente vi racconteranno che "aaaah, ma l'India mi ha cambiato la vita, cioè, non puoi capire, la spiritualità, cioè, il Gange, cioè le vacche che camminano per strada, cioè la semplicità[aggiungere luoghi comuni a scelta, ma mi raccomando il "cioè" enfatico]".

E ora torniamo ai giorni d'oggi. Prendiamo questo Paolo, che un bel giorno ha lasciato la sua Val di Susa per andarsene in India. Probabilmente fosse rimasto in Italia sarebbe morto per aver preso la scossa su un traliccio durante una manifestazione NO-TAV.
Un biondone con delle magliette lise e lerce che se lo vedessero Enzo e Carla di "Ma come ti vesti?" avrebbero un infarto e che, non gliel'hanno mai detto per educazione, ma anche agli adivasi fanno davvero schifo. Perché saranno tribali, ma il buongusto ce l'hanno, e certi loro abiti tradizionali farebbero invidia al miglior Missoni.
Ecco, 'sto bel biondone... No, be', è vero che in India "biondo è bello", ma insomma, non esageriamo. Dicevamo. Questo biondone qui va in India, e non è che se ne sta buono nelle città, no. Lui vuole fare lo "sborone" e si avventura per i villaggi. Non pago, decide di aprire un'agenzia che organizza viaggi tra i tribali dell'Orissa.
Uh, che idea originale. Perché non ci ho pensato prima?! Perché non un bel safari tra gli aborigeni dell'Australia, con tanto di attestato di partecipazione e foto nel pentolone con un simpatico autoctono con l'osso nel naso?
O magari un bel tour nella profonda Sicilia, tra capre, lupare e vedove di mafia. In regalo una testa di cavallo da mettere nel letto.
Mi ricorda molto il parco divertimenti a tema comunista, in cui pareva venisse offerta anche la sbobba tipica dei gulag.
Peccato che qui si sia tra persone vere, che vivono la propria vita senza rompere le balle a nessuno, senza computer, senza cellulari, senza neanche l'acqua corrente, e che non devono per questo essere considerate meno civili, meno intelligenti o meno dignitose di coloro che hanno una casa in mattoni e una macchina Tata bianca ultimo modello.
Quindi, il Nostro si avventura tra queste popolazioni, armato -e il termine non è affatto casuale- della sua macchina fotografica super profescional, si fa strada nella giungla e si vanta anche di mangiare ciò che mangiano gli adivasi, e di bere la stessa acqua. Ci scommetto che l'ha fatto. E chissà quante volte si è preso l'ameba, la tenia, la malaria, per non parlare di quelle infezioni che qui non hanno neanche un nome.
Fa il figo, il Paolo, va in giro, comunica a gesti (italiani) con tribali bonari che lo guardano con compassione, e magari s'incazza quando questi gli chiedono se vuole mangiare, gesto che in Italia è facilmente confondibile con la mano a carciofo del "che cazzo vuoi?"... Ed effettivamente avrebbero più ragione ad usarlo nella versione italiana.
Aaaaah che gran gallo, questo Paolo. Talmente gallo che può anche raccogliere adepti, altri scoppiati che non sono mai stati in India e che decidono di cominciare partendo dalla parte più facile e occidentalizzata: i villaggi. Ovviamente sono ironica, e io, che la hindi la mastico, e la cultura la conosco, o forse proprio in virtù di tutto ciò, prima di avventurarmi in un villaggio aspetterò un bel po'. Ma non è che debba necessariamente andarci, eh.

Il Paolo, tra i tanti, recluta un bel galletto romano in pensione col pallino di "salvare il mondo" e aiutare i più deboli. Tale Claudio. Sappiamo tutti benissimo che in Italia stiamo tutti bene e che non esistono barboni/drogati/disagiati/disabili/bambini in difficoltà in Italia. Bisogna andare in India per trovarli. E menomale che ci sono i bianchi che arrivano a frotte per salvarli dalla povertà, dalle malattie e dall'inciviltà, in generale.
Menomale che ci sono bianchi col nasino all'insù e le Canon ultimo modello che si credono Madre Teresa e vanno in India a fare VOLONTARIATO. Perché, suvvia, cos'avremo mai da imparare noi, da una civiltà che sorgeva sulle rive del fiume Indo già nel lontano 3000 a.C., avanti di migliaia di anni rispetto all'occidente.
E non ci provate, non provate a dire che lì è rimasta. Vi rivolto come un calzino durante una centrifuga.

Eccoli, l'Indiana Jones della Val di Susa e Madre Teresa de Roma, l'avventuriero e il filantropo, che si inoltrano nella giungla nera, fingendo esperienze antropologiche tra quei simpaticoni degli adivasi.E, già che ci sono, adocchiano qualche donna tribale che magari non indossa un top, con le minne al vento. O magari ce l'avevano, una maglietta, e se la sono tolta per regalarla ai due straccioni. Oh ma che bel quadretto folkloristico, da immortalare assolutamente.
http://www.telegraphindia.com/1120318/jsp/frontpage/story_15264696.jsp

Ma, come in ogni film e libro di avventura che si rispetti, vuoi che non ci sia un cattivo? Una tigre, un serpente, un cacciatore di taglie, un rompicoglioni ubriaco che spara a caso?
All'improvviso da questi ficus beniamini giganti, nontiscordardimè tropicali e gattoni selvatici del Bengala (ve l'ho detto, per i dettagli di botanica e zoologia affidatevi a Salgari!) spuntano dei cattivoni vestiti in tuta mimetica e passamontagna. Il primo pensiero dei Nostri è "Chissà che banca andranno a svaligiare, qua nella giungla", ma le loro guide indiane gli fanno notare che non sono dei rapinatori di banca. Sono dei cattivoni che li acchiappano al volo (certo, con quelle magliette demodé non passano inosservati neanche nel Bengala più profondo), lasciano andare le guide indiane e si tengono i due bocconcini di carne bianca.
Quei cattivoni sono i maoisti. I Naxaliti. Quei brutti ceffi che hanno cominciato a rompere le balle a Indira Gandhi già nel 1967, in un periodo di grave crisi del sistema agrario in Bengala.

Parliamo un po' dei tizi in passamontagna, libro di D'Orazi Flavoni "Storia dell'India moderna" alla mano (ancora più specifico del Walpert, e se sapete di cosa sto parlando, capite perché non ho voglia di dare quest'esame!). Indira nel 1967, dopo aver vinto le elezioni, ma avendo perso molti consensi, inaugura la cosiddetta "Rivoluzione Verde", cito testualmente: "un programma di modernizzazione accelerata del settore agricolo attraverso l'applicazione delle più avanzate esperienze di genetica agraria"
Ora, capite anche voi, che, tra gli adivasi del Bengala non è che questa sia stata accolta come la novità più figa del millennio. Anzi. I primi a incazzarsi sono i tribali Santal (sì, come il succo di frutta), dediti alla coltivazione mobile, che già erano stati messi sul fondo della scala sociale dai britannici. Ma a ruota arrivano anche gli altri tribali a protestare. E il nostro amico Paolo dalla Val di Susa dovrebbe saperne qualcosa.
Ed ecco i maoisti, o naxaliti (da Naxalbari, area difficilmente accessibile, collocata tra Nepal, Bhutan, Sikkim, Tibet e attuale Bangladesh, in cui i rivoluzionari trovavano rifugio), che cominciano a fare i black bloc della situescion e a guidare le rivolte contadine e la guerriglia.

E siamo nel 1967, ripeto. Le rivolte intestine in India non hanno mai attecchito granché, proprio grazie alla suddivisione castale: la rivoluzione puà nascere dalla cosiddetta "solidarietà orizzontale" (di classe), non in una società caratterizzata da dipendenze verticali (castali); il sistema castale si fonda su basi ataviche, religiose, e per questo l'indiano "medio" deve accettare la propria condizione e sottomettersi al proprio destino. Ma noi stavamo parlando dei tribali, che in fondo sono sempre stati al di fuori del sistema castale vero e proprio e che se ne sbattono delle convenzioni; saranno sì dei primitivi, ma proprio per questo più vicini a un'idea di egualitarismo e democrazia rispetto al resto della società indiana basata sulle caste.
Negli anni settanta la lotta naxalita si sposta a Calcutta. Ora non ci sono più solo tribali, ma anche studenti, intellettuali, a cui si aggiungono mafiosi e piccoli delinquenti (non so perché ma mi pare un déjà-vu); si fa propaganda nelle campagne e si arriva al terrorismo urbano. Dopo una forte azione repressiva condotta dal partito del Congresso i naxaliti vengono imprigionati, e il loro partito (PCML) frammentato.
In generale, la politica adottata è stata di dialogo e compromesso (Indira c'è andata un po' pesante, ma insomma, anche Gandhi lo diceva: "quanno ce vo' ce vo'!"), ma sono rimaste delle zone d'ombra in cui gli ultimi naxaliti operano, il D'Orazi Flavoni dice soprattutto in Bihar ma, a quanto pare, anche in Orissa. E pare che questi maoisti finora se la fossero mai presa con stranieri.

Finora, appunto. E invece a breve scade l'ultimatum. Magari i maoisti si accontenteranno che quei due italiani cambino quelle magliette luride con camicie pulite e stirate, come la maggior parte degli indiani. Magari anche una "dhoti" (pareo lungo usato dagli uomini in India del Sud) al posto di quei pantaloncini osceni e "siamo apposto così", la finiamo a tarallucci e vino. O a namkeen (tipici salatini indiani) e birra Kingfisher.
Me lo auguro, per carità. Così come auspico che i Marò vengano liberati. E me lo auguro non solo perché il povero ambasciatore indiano deve essere in crisi, e probabilmente anche il console... E se è lo stesso console che si era trovato in difficoltà solo perché una studentessa bionda di hindi (no, non ero io) voleva andare in Panjab per preparare una tesi sul Khalistan (lo stato che vorrebbero creare gli indipendentisti sikh), e che per tale motivo è stata additata come terrorista, be', credo che ora tra i Marò e i fricchettoni sequestrati, avranno delle belle tigrotte da pelare!
Ma me lo auguro, anche perché in caso contrario quello che arriverebbe all'occhio dell'italiano che non sa una mazza di India è: tutti gli indiani sono stronzi, e se vai in India ti rapiscono facile, che manco l'Anonima Sarda ai tempi d'oro. E non ti mandano neanche un orecchio di ricordo (tra l'altro Faruq Kassam era di origine indiana)

A noi italiani all'estero (ma anche italiani in Italia), invece, basterebbe solo un po' di buon senso, di sensibilità e di rispetto per le popolazioni che sono a casa loro, e che non è che abbiano necessariamente voglia di essere considerate alla stregua delle cere di Madame Tussaud's. E che non è poi così indispensabile passare dall'alberghetto di Rimini o dal villaggio a Sharm alla zona più malfamata di Medellin per sentirsi davvero dei "viaggiatori". E piantiamola di sentirci più fighi e crederci superiori ai "non occidentali".

Quando un giornalista chiese a Gandhi: "Mr Gandhi, what do you think about Western civilisation?", il nostro amico Mohandas Karamchand rispose prontamente: "I think it would be a good idea".
Rachitico, brutto e con le orecchie a sventola sì, ma mica scemo!

Sonia