domenica 7 dicembre 2008

5 novembre

Oggi è stata una giornata molto intensa. Molto.
Stamane ci siamo svegliate presto per prendere la barchetta e osservare dalla Ganga lo spettacolo della Chhat puja. I ghat erano di nuovo affollatissimi, e faceva freschino. Freschino per gli standard di qui, eh, ciò significa che alle 6 di mattina del 5 novembre ho dovuto indossare la felpina.
Mentre il nostro Caronte viaggiava alla velocità di crociera di un chilometro all’ora, praticamente ad un metro dalla riva, noi ammiravamo le donne avvolte nelle loro sari variopinte, immerse nella Ganga con le loro prasaad (offerte)
Ed era tutto così magico e suggestivo, affascinante, poetico ed irreale, dai contorni sfocati come in un sogno, dove le macchie indistinte di colore si mescolavano ai volti ben delineati, assorti, ai sorrisi, ai brividi di freddo, alle preghiere, ai silenzi, ai canti e alle chiacchiere. E, dalla parte opposta, il sole che si levava dalle acque della Ganga: pennellate di rosso, rosa, giallo e arancione in tutte le loro sfumature Davvero emozionante.
Una volta scese dal nostro panfilo e aver discusso sul prezzo (come al solito), Mangla ci ha appioppato Soni, sentenziando che ormai era troppo tardi per andare a scuola, e quindi avremmo dovuto portarla a far colazione con noi. E pagare per lei, ça va sans dire. Evidentemente, non era sufficiente aver pagato 100 rupie (e all’inizio erano 200, ma io mi sono opposta categoricamente) per aver fatto da taxi a Mangla e Soni che dovevano recuperare Puja (per questo motivo la barca andava così piano e a pochi metri dalla riva), quando noi avremmo voluto andare dalla parte opposta.

Ad ogni modo, dopo una sostanziosa colazione alla German Bakery, siamo andate all’appuntamento con Anna, direttrice dell’ONG Action Benares (
http://www.actionbenares.org). Dopo aver bevuto un chai insieme, abbiamo accompagnato Anna e gli altri ragazzi, tutti vestiti rigorosamente di bianco, sul ghat principale, mentre un corteo di ragazzine curiose ci seguiva. Spesso le persone vanno a morire sui ghat, e Action Benares si occupa, tra le altre cose, di medicare queste persone malate, offre loro assistenza andando direttamente da loro. Le piaghe dei lebbrosi venivano amorevolmente disinfettate, medicate e bendate. Chi si rivolgeva agli infermieri vestiti di bianco riceveva innanzitutto un sorriso e una parola di conforto, così importanti per chi è un intoccabile, considerato dunque un reietto della società, e poi antibiotici, bende pulite, assistenza medica.
Ci siamo poi spostati all’ospedale, dove Action Benares si occupa di offrire assistenza nel reparto “grandi ustionati” ed ortopedia. Fuori dal reparto “grandi ustionati” giacevano bambini completamente neri, coperti solo da una garza di cotone, che si lamentavano e piangevano. E questo era solo l’inizio. Abbiamo visto decine di persone completamente ustionate, in particolare donne. Ci hanno spiegato che per alcune di loro è stato un incidente, ma che sempre più spesso si tratta di tentativi di suicidio per sfuggire ad una vita di stenti e disperazione. Oppure, sono le suocere che danno loro fuoco - o fanno ingurgitare loro acido -per poter permettere al figlio di risposarsi ed avere un’altra dote. Queste situazioni sono inconcepibili per noi, ma devono essere poste nel contesto indiano, in cui la donna, di proprietà del padre, è presto costretta a sposarsi ad un uomo che non conosce, e a trasferirsi nella sua casa. Diventa così proprietà del suo sposo e della sua famiglia, e molto spesso vittima di soprusi, violenza e vessazioni.
Quegli occhi neri, così vibranti di disperazione e dolore, e quelle carni bruciate, il pianto di un bambino senza pelle, mi resteranno nella mente, negli occhi, nelle orecchie per sempre. E non riesco a scriverne senza piangere. Ma stamattina dovevo trattenere il magone, e sorridere, mentre entravo e uscivo da quelle stanze spoglie, sconvolta da tanta sofferenza. E non era un sorriso falso, ma un sorriso di speranza, di incoraggiamento, di vita. Così come ci raccontava Anna, che, di fronte a tanto dolore, la sua reazione era ridere e far ridere. Il sorriso è l’unica arma che avevo in quel momento, l’unica forza che potevo trasmettere. Ma erano loro a dare forza a me, quando vedevo le loro labbra incurvarsi in un sorriso, e i loro occhi brillare per un istante.
Queste persone, che in Italia si troverebbero in terapia intensiva, stanno invece in un ospedale fatiscente, senza la benché minima assistenza medica (se non quella offerta, appunto, da Action Benares). Di fatto, l’assistenza viene offerta solo a coloro che possono permettersi di allungare una mazzetta al medico. E, a questo punto, conviene pagare una clinica privata.
Dopo siamo andate al reparto ortopedia, una grande camerata dove si trovavano uomini, donne e bambini, con i muri scrostati e le tubature rotte. I ragazzi di Action Benares si sono seduti al capezzale di una ragazzina che piangeva e si lamentava, nel delirio della febbre. Anna ci aveva avvertito che avremmo sentito puzza. Ma quando hanno cominciato a toglierle il sacchetto di plastica che le avvolgeva il piede, e a toglierle le bende… Un odore di morte, di carne putrefatta pervadeva l’aria, perforava le nostre narici, mentre le grida strazianti di quella bambina che chiamava la sua mamma dilaniavano il cuore e le orecchie, malgrado fossimo uscite dalla stanza.
Avevo ormai raggiunto il limite, la mia soglia di sopportazione della sofferenza altrui. Ma ormai la nostra visita all’ospedale era finita. Di ritorno a casa, Anna si è detta stupita della nostra capacità di sopportare tanto dolore, visto che in genere le persone scoppiano in pianti ininterrotti o addirittura vengono prese da malore, di fronte a quelle realtà.
E io mi chiedo come facciano loro, a confrontarsi ogni giorno con il dolore, con la frustrazione e il senso d’impotenza, la rabbia verso un sistema corrotto e perverso che non ha nessun rispetto per la persona, per la sua dignità, per la sua sofferenza.
Ma ora il mio mal di testa è diventato lancinante - perché io non somatizzo mai! - è ora di andare a letto. È circa una settimana e mezza che ogni giorno mi sveglio con qualcosa di diverso: mal di testa, debolezza, raffreddore, diarrea. Ogni giorno è una sorpresa. Ma sono sempre più convinta che si tratti di malessere psicosomatico. E sono sicura, ma sicura al 100 per cento, che dopo aver visto la sofferenza, quella vera, da domani starò bene.



Buonanotte,

sabato 6 dicembre 2008

4 novembre

Ieri non è successo niente di particolarmente rilevante, a parte il fatto che sono entrata in un negozio al cui ingresso c’erano dei manichini che salutavano portando su e giù le mani congiunte (è il gesto cosiddetto della “brocca”, che rappresenta l’offerta dell’acqua, bene prezioso e purificatore),

http://in.youtube.com/watch?v=62l6ekXbwmM

e davano il benvenuto a clienti che si trovavano di fronte un bel bue cosiddetto Brahma (grazie papi per avermi tolto questo dubbio esistenziale: continuavo a vedere in giro queste “muccone” beige con le corna e la gobba e cominciavo a pensare che si trattasse di un incrocio tra un toro e un dromedario!). Se ne stava comodamente spaparanzato (o svaccato, per restare in tema)per terra nel bel mezzo del negozio, proprio di fronte al tempietto allestito in onore di Shiva, come un cliente qualsiasi.
Stasera al tramonto e domattina all’alba si celebra la Chhat puja, una puja particolare che fanno le donne e offrendo frutta e dolci. Domattina, poi, si immergeranno fino alla vita nel Gange, o meglio: nella Gangaji (letteralmente “la signora Ganga”), e offriranno altre prasaad, e poi, finalmente, potranno mangiare. Eh sì, perché la cosa più crudele è che queste povere donne non possono mangiare né bere per un giorno e una notte. Vorrei proprio vedere se tra gli uomini riscuoterebbe tanto successo! Ché poi c’è Raju che continua a raccomandarmi di fare un giorno di digiuno, di modo che il mio stomaco si sistemi e io mi riprenda alla grande, visto che è da un po’ che ogni giorno ne ho una: debolezza, o mal di testa, o squaraus o qualsiasi altra cosa. Mi pare assolutamente inutile specificare che non ho alcuna intenzione di seguire i suoi consigli.
Ma ora vado a nanna, domattina si va a vedere l’alba dalla barca, con Mangla e Soni.
Buonanotte,
Sò!

3 novembre




Oggi la Michy ha preparato gli gnocchi! Quelli che non abbiamo buttato via erano buoni, sebbene ci fossero troppa farina (quella sbagliata, per di più!) e uova… Siamo comunque riuscite a far credere alla Michy che io, Cri e Pasto abbiamo avuto il cagotto proprio per colpa dei suoi gnocchi… Cosa non vera, per fortuna!
Pasto ha deciso di farci assaggiare il cappuccino dell’IP Mall, un centro commerciale grandissimo. Ma il risciò dove eravamo io e la Michy aveva un piccolo, insignificante problema: la catena non stava su, per cui abbiamo impiegato un’oretta buona per arrivarci. Per fortuna ne è valsa la pena: il cappuccino era proprio come quello di casa!
Poi ci ha raggiunto Vargha, l’amico monosopracciglio amico di Pasto, che ci ha dato un passaggio in macchina per accompagnare la nostra guida alla stazione. Durante il viaggio abbiamo potuto godere delle gioie dell’aria condizionata al massimo (che freddoooo!) e della musica truzza a palla (certi remix che non potete neanche immaginare… beati voi!) direttamente dietro le nostre orecchie.
Dopo esserci salutati, Pasto è salito -malvolentieri- sul suo treno alla volta di Delhi, e così Vargha ci ha accompagnate fin quasi a casa, mentre ci raccontava della sua religione: bahai, http://www.bahai.it/

una religione nata in Iran quasi due secoli fa, in cui confluiscono gli insegnamenti delle varie religioni, dei vari profeti e messia. Si tratta ovviamente di una dottrina che non è molto apprezzata in Iran, anzi: molti sono stati perseguitati, e forse lo sono ancora. Io non ne avevo mai sentito parlare, ed è stato interessante ascoltare la sua spiegazione.
Ora però, la Cri, la Michy, e persino Mangla, tentano in tutti i modi di appiopparmelo!!! Mangla mi reputa fortunata perché sono figlia unica, e in questo modo i miei genitori potranno prepararmi una cospicua dote, grazie alla quale potrò sposare un uomo ricco e bello. E per quanto riguarda Vargha, sul ricco ci siamo, eccome! È sulla bellezza che proprio non c’è niente da fare!!! Ovviamente mi prendono in giro e scherzano -Mangla non del tutto- del resto, il fatto che io sia estremamente delicata e il fatto che io sia perennemente in ritardo probabilmente non sono sufficienti!
Comunque la mancanza di Pasto si sente, e stasera eravamo un po’ abbacchiate.
Buonanotte,
Sò!

martedì 2 dicembre 2008

2 novembre

Ieri sera siamo andati a un’altra festa di N, che a suo dire doveva essere migliore dell’altra. In realtà era una palla anche questa, anche se ho potuto ballare un po’ di ska, e soprattutto ammirare lo spettacolo di lui che ballava (come) in estasi. Il posto era bello, una terrazza sulla Ganga. Il problema è sorto al ritorno, visto che è andata via la luce (tanto per cambiare) e abbiamo dovuto camminare per strade buie.... Eravamo terrorizzati, e ad ogni minimo rumore ci voltavamo spaventati. Le nostre torce non illuminavano che a un metro e mezzo davanti a noi… arrivati finalmente all’Assi ghat, abbiamo svegliato due risciòvala e li abbiamo guidati con le nostre torce elettriche... Per fortuna che c'era Pasto con noi!


A domani,

Sò!

31 ottobre

Finalmente un ritorno alla natura! Pasto ieri ci ha portato nella sua vecchia scuola, la Krishnamurti Foundation, dove siamo arrivate dopo un’ora e mezza in barca, da cui abbiamo potuto ammirare un incantevole tramonto. Mentre “veleggiavamo” verso la nostra meta Pasto ci raccontava le sue avventure in giro per il mondo e scorrevano -finalmente- le campagne, i villaggi, gli animali al pascolo, la fognatura romana.




La Krishnamurti Foundation
(
http://www.kfionline.org)
è stata creata nel 1926 da Jiddu Krishamurti, filantropo di fama mondiale, il cui amore per la natura umana ha trovato la sua naturale espressione nella creazione di scuole, che non si occupano solo dell’aspetto meramente accademico, ma tengono in grande considerazione l’importanza fondamentale del porre e porsi domande. Questo è sicuramente un aspetto anomalo nel panorama scolastico indiano, caratterizzato da una fortissima competizione e
una devozione incondizionata nei confronti dell’insegnante, a cui non è possibile porre domande.

Dopo un’oretta buona che camminavamo, mi ha chiamato la nonna, quindi ci siamo seduti per terra, ma non sapevamo che ci aspettava una sorpresa… Probabilmente non era solo terra ma anche un qualche raduno di zanzare assetate di sangue, che hanno bellamente perforato i nostri pantaloni leggeri per conficcarsi nelle chiappe chiare mie e della Michy, mentre la Cri e Pasto se la ridevano!



In seguito abbiamo in
contrato un ex professore del nostro accompagnatore con degli italiani, e ci hanno proposto di assistere ad un dibattito. Dopo lunghe discussioni e un’attenta riflessione, siamo giunte alla conclusione che niente era tanto importante, necessario, addirittura vitale come della carne rossa superpiccante al quartiere musulmano.

Così siamo ritornati nel caos cittadino in tanga… Sì sì, abbiamo percorso tutta Varanasi in tanga, io, Michy, Cri e Pasto!!! Qui non capita certo spesso, ma ogni tanto si vedono gruppetti di gente che va in giro in tanga… Vabbè, dai, vi svelo l’arcano: il tanga è la carrozza, trainata, come nelle migliori favole, da un cavallo. Ma più che da una zucca, la nostra carrozza probabilmente proveniva da una rapa marcia, visto che era piuttosto malandata.


Ma è stato divertente, e abbiamo visto una zona di Varanasi che non conoscevamo, e dove i turisti non vanno. I nostri cocchieri ci hanno lasciato al quartiere musulmano, dove è cominciata la ricerca del “carnerossavala”, ma non ha dato i risultati sperati, per cui abbiamo dovuto “ripiegare” su pollo e riso messi in una borsa di plastica (la tipica schiscetta indiana!) e un egg chicken roll, ovvero un involtino di piadina, uovo, pollo e verdure (una sorta di kebab). Il tutto abbastanza piccante ma molto, molto buono.

Speriamo che non mi si riproponga stanotte!


Shubh ratri, buona notte a voi,

Sò!




domenica 16 novembre 2008

29 ottobre


Ooooh, che festa meravigliosa Divali! Ieri finalmente abbiamo indossato le nostre sari, con i bindi, i churi (i braccialetti), le scarpe nuove… Ci siamo addirittura truccate per l’occasione, cosa che non facevo da prima di partire! Sembravamo delle principesse, nelle nostre sari colorate, le mani decorate con l’hennè… Credo di non essermi mai sentita così bella come ieri. È incredibile come un pezzo di stoffa, “I'll tell you sister: this is very good quality, very good quality!”, come diceva il nostro dukandar, ma pur sempre un pezzo di stoffa (a proposito: in hindi non esiste il termine “vestito”, ma si adopera kapra, ovvero stoffa, tessuto. Del resto, è più difficile trovare vestiti già pronti, piuttosto che farli fare) possa farti sentire così bene. Non sono (troppo) vanitosa, ma ieri mi sono sentita proprio bellissimissima! Eravamo proprio raggianti.
Ma insomma, bando alle ciance, e vi racconto un po’ della serata di ieri, che è stata molto bella. Avvolte nelle nostre sari, io, Michi, Cri, Silvia e Mili ci siamo fatte largo tra la folla festante, distribuendo toffee speziate ( fanno così persino le caramelle!) a tutti e siamo finalmente arrivate -con un’ora di ritardo, ma insomma, eravamo in cinque donne!- a casa
di Manooj, il maestro di canto di Mili. Dopo le presentazioni di rito, io e la Cri ci siamo fatte accomodare le sari dalle donne di casa, perché Mangla l’aveva sistemato per bene alla Michi, poi si vede che s’è stufata e a noi l’ha messo alla bella e meglio. Quindi abbiamo finalmente potuto dare sfogo alla nostra vena egocentrica scattando decine di foto nel terrazzino al primo piano. Siamo poi salite sulla terrazza vera e propria (qui, ovviamente, le case non hanno il tetto) da dove potevamo godere una splendida vista di Varanasi notturna illuminata da lumini e candele, nonché da fuochi artificiali e botti assordanti che illuminavano a giorno le strade. Abbiamo acceso centinaia di candeline lungo tutto il muro che circondava la terrazza, cavolo, ci hanno costretto ai bassi lavori di manovalanza! Tra l’altro dovevamo fare attenzione a non bruciarci la sari, prima di diventare sati !
Sati, la “Virtuosa”, la sposa di Śiva che si diede volontariamente la morte nel fuoco per vendicare una grave offesa recata al consorte. Da qui ha preso il nome la pratica hindu dell’immolazione della vedova sulla pira funebre del marito. [tratto dalla mia tesi]
Comunque abbiamo ammirato la città in festa dalla terrazza, mentre Pradeep -il fratello di Manooj- faceva scoppiare i pataka e poi cominciava a saltellare di qua e di là per evitare di bruciarsi i piedi, altro che fachiri! Del resto, qui la gente va in giro scalza persino in giro per strada (e se è per quello, ho visto anche un sacco di occidentali così… Tra cui la Silvia…), figuriamoci se le tiene in casa! E ovviamente il concetto di “ciabatta” è assolutamente astruso per questo popolo! Siamo state in terrazza a cercare di proteggerci dai botti e a farci foto fino alle 11, quando ormai non ce la facevamo più dalla fame e io cominciavo a progettare la macellazione di una vacca per strada per farci una bella bistecca… Per di più in casa di brahmini osservanti!!!
Poi siamo finalmente scesi nella sala da pranzo, cioè nella camera da letto, ci siamo piazzati per terra e abbiamo scofanato il piatto di pasta preparato da Mili… per di più gli standard igienici sono partico
larmente rigorosi: la cucina… a terra! L’acqua presa “direttamente” dalla cisterna, e utilizzata per lavare molto accuratamente i piatti: risciacquo e poi si fa come nel girotondo… Tutti giù per terra! Quanti soldi che sprechiamo noi per Svelto, spugne varie, scolapiatti, addirittura lavastoviglie… Ora che ho imparato questo nuovo modo per lavare le stoviglie penso che lo adotterò a casa… Così forse è la volta buona che non mi faranno più lavare i piatti!!! Io, Cri e Michi abbiamo portato dolci e cioccolato… Hanno messo qualche dolcetto in un piattino per noi e basta… Non è come da noi che quando gli ospiti portano i pasticcini poi li si mangia tutti insieme… Qui ne danno un paio a coloro che li hanno portati, così, giusto per dare il contentino e poi basta, il resto se lo magnano tutto loro… Chiamali scemi!! Dopo la lauta -ehm-cena abbiamo assistito alla performance live di Manooj, che cantava e suonava la pianola mentre suo fratello suonava i tabla… Dopo due minuti che continuavo a sentire la stessa lagna stavo cominciando ad addormentarmi… E non ero certo l’unica! Per fortuna che dopo la seconda canzone abbiamo deciso di andare, quindi abbiamo salutato i nostri ospiti, ci siamo rimesse le scarpe e ci siamo dirette al ghat principale, cercando di schivare i botti e tappandoci le orecchie per il frastuono. Poi abbiamo salutato la Silvia che ha detto che sarebbe rimasta lì con dei suoi amici e io, Michi, Cri e Mili siamo tornate a casa.
Mentre tornavamo abbiamo incontrato dei ragazzi che erano alunni di inglese di Mili, e siamo stati un po’ a chiacchierare con loro. Uno di loro, ci ha spiegato Mili, vendeva le cartoline sul ghat, viene da una famiglia molto numerosa e povera, con un fratello malato di AIDS. Mili insegnava inglese a lui e ai suoi fratellini, e lui era davvero desideroso di apprendere e di studiare, e approfittava di ogni attimo libero per studiare. Ora questo ragazzo va all’università! Io non sapevo la sua storia, ma vedevo i suoi occhi che si illuminavano orgogliosi quando parlava dell’università. Lui e i suoi amici ci hanno poi riaccompagnate a casa, ma i nostri vicini (o presunti tali) ci hanno invitato a visitare il tempietto (uno dei millemila) di fianco a casa, pregno di fumo e del profumo di incenso e dei fiori offerti come prasaad (l’offerta alla divinità). Per terra c’erano decine e decine di lumini con l’olio profumato, e il caldo era davvero insopportabile. Dopodiché abbiamo finalmente varcato la porta di casa e siamo andate a nanna. Il problema è sorto questa mattina, visto che la Silvia non era ancora tornata e abbiamo cominciato a preoccuparci, vedendo che non era tornata neanche per pranzo. Alle 17.30 abbiamo deciso di prendere la situazione in mano e siamo andate a cercarla, preoccupatissime. Dopo aver girato un po’ e aver chiesto anche al suo amico, siamo arrivate sui ghat, dove l’abbiamo vista tranquilla e serena che cantava con un gruppetto di turisti. Grrrrr, che nervi!!! Ormai avevamo allarmato anche gli altri ospiti di Ram Bhavan (in questi giorni è arrivata un po’ di gente), e Pasto, che è tornato apposta a Varanasi per Divali. E così abbiamo perso una giornata, preoccupate che le potesse essere successo qualcosa, mentre lei era in giro a cazzeggiare. Per carità, menomale che non le è successo niente, però ti girano le palle, soprattutto se poi lei ti dice, con tutta la calma del mondo “Eh, ma ragazze, voi dovete vedermi un po’ distaccata…” Mili comunque le ha fatto una bella ramanzina. Che di sicuro non servirà a nulla.

Buonanotte,
Sò!

28 ottobre: Divali!!!

Oggi è finalmente Divali, la festa indiana -non necessariamente hindu, anche se l’origine è chiaramente religiosa, ma coinvolge tutti, così come tutte le feste qui: gli indiani non perdono certo l’occasione per festeggiare!- che celebra il ritorno di Rama, l’eroe del poema epico Ramayana, nonché avatara, reincarnazione, di Vishnu, nella capitale del suo regno, Ayodhya, dopo un esilio di quattordici anni, e dopo aver sconfitto -con l’aiuto del dio-scimmia Hanuman e del suo esercito- il demone Ravana che aveva rapito la moglie di Rama, Sita. Una volta tornato ad Ayodhya, i sudditi avevano accolto i loro sovrani con candele e piccoli cocci con olio profumato.

Quindi si festeggia in tutta l’India e in Nepal, accendendo lumini e candele e facendo scoppiare i pataka, i petardi, e i fuochi d’artificio.

Dopo la lezione con Raju, ho cercato di raggiungere il negozio di Nawal, dove avevo fatto cucire una borsettina da usare con la sari. Ma, strano a dirsi, dato il mio spiccato senso dell’orientamento, mi sono persa. Mi sono ritrovata in un ingorgo di persone e ad un certo punto mi son sentita toccare il culo, che qui è una pratica piuttosto diffusa (penso che brevetterò le mutande con gli spuntoni all’esterno, sarebbero molto utili anche nelle discoteche italiane!!!). Mi sono rivolta -senza fiducia- a un poliziotto, il quale mi ha risposto che dovevo telefonare alla polizia!!!! Che uomo ligio al dovere, eh?

Ho dovuto chiamare la Michy e la Cri che sono venute a recuperarmi e mi hanno portata da Nawal, e poi siamo tornate a casa a prepararci, perché stasera andiamo ad una festa con Mili, a casa del suo maestro di canto.

Subito dopo siamo andate a trovare Neelu, l’estetista, che ci aveva invitate da lei per Divali, visto che ci teneva moltissimo. Mangla non voleva neanche che andassimo, perché diceva che la casa è piccola… Ma che importa? Lei era così contenta di vederci, e, tutta orgogliosa, ci ha presentate alle sue amiche, una più bella dell’altra, con i salwar kamiz della festa (in genere i salwar kamiz sono per le donne “single”, mentre le sari sono per le donne sposate)

Ormai mi sono fatta conoscere da tutti per la mia puntualità, quindi è meglio che mi muova, non vedo l’ora di indossare la sari! Ovviamente ci aiuterà Mangla, visto che è abbastanza difficile.

Shubh Divali a tutti!

venerdì 31 ottobre 2008

27 ottobre

Dopo la lezione di oggi è venuta di nuovo Neelu, l’estetista, a farmi la ceretta, cercando di recuperare i casini che aveva combinato l’aguzzina dai tratti cinesi. Per la prima -e ultima- volta nella mia vita, mi sono fatta fare le sopracciglia, con quel metodo strano con il filo… Un male boiaaaa! Poi mi ha fatto la ceretta, ed era spaventatissima perché vedeva che ho la pelle molto delicata, mentre io ero tranquillissima! Non sono proprio abituati qui alla pelle chiara e così sensibile.
Nel pomeriggio io e le solite due :) siamo partite alla ricerca delle scarpe da mettere con la sari, impresa che si è rivelata moooolto più difficile del previsto! In ogni negozio/bancarella in cui entravamo inizialmente ci facevano vedere sabot paillettati che neanche per il carnevale di Rio.
Quando capivano che non ci piaceva il genere, acchiappavano il sandalo più tedesco e agghiacciante che avessero e cominciavano a piegarne la suola, esclamando con entusiasmo: “This is very confortable, sister, very confortable!!!” Saranno pure comodi, ma di andare in giro con quei “bobi” come li chiama la nonna, non se ne parla proprio! Comunque ecco a voi degli splendidi esemplari. Dopo aver scattato la foto ho spiegato al dukandar, evidentemente compiaciuto, che le scarpe erano così belle che volevo fare una foto. Che ridereeee!
Per fortuna sono riuscita a trovare degli infradito addirittura carini, anche se costavano addirittura 250 rupie (meno di 4 euro). Quindi volevo scendere a 200, considerato anche che mancava un brillantino, che ho dovuto riattaccare io perché ho le mani più piccole, ma lui non era molto d’accordo. Ho cominciato a chiacchierare con il dukandar, mentre sono le mie gambe passavano i topolini, e ovviamente mi ha chiesto se sono sposata. Ho esibito con un certo orgoglio il mio anello sull’anulare sinistro a prova del mio matrimonio, e poi la conversazione si è svolta così:
Dukandar: Ma dov’è tuo marito?
Sò: In Italia!
D.: Ah, l’hai lasciato da solo?
S.: Eh sì, lui deve lavorare!
D.: Che lavoro fa?
S.: è un businessman, lui!
D.: In che campo?
S.: (ma questo i cavoli suoi…) Eeeeeeh… eeeeehm… Si occupa di macchine!
D.: Ah però! Allora dovresti darmi 250 rupie, non 200! Sarete sicuramente ricchi!
S.: Eeeeeh, ma lui è famoso (mi ricordavo questa parola in hindi, quindi ce l’ho messa dentro) ma non ricco… Sa com’è, siamo ancora agli inizi!!!
Non so come io abbia fatto a raccontare tutte ‘ste balle senza ridere, fatto sta che è stato divertente!
In serata siamo andate a mangiare al ristorante mongolo, pollo tandoori e patatine fritte, con il cameriere che aveva fretta e che ci tirava via il piatto mentre stavamo mangiando! Non abbiamo assaggiato i succulenti antipasti, cioè questi nella foto solo per non guastarci l’appetito con cotanta bontà!
Devo dire che andare in giro con l’hennè è bellissimo: le donne mi fermano ammirate, chiedendomi chi me l’ha fatto e facendomi i complimenti, per poi addirittura baciarmi il palmo! Stamattina ero seduta su un muretto a chiacchierare con un dukandar che vive in Spagna e c’era la processione a vedere le mie mani, incredibile! Dopo un po’ ho cominciato a fare l’indiana d’India e a dire a tutti quelli che volevano guardare: “10 rupie!”. Il dukandar mi ha guardata divertito, visto che ho capito perfettamente come funziona qui!Che meraviglia, domani è Divali, non vedo l’ora!
Baciugi e soprattutto...
Shubh Divali a tutti,
Sò!

26 ottobre

Dura giornata di shopping, oggi! Del resto, non posso certo mancare ai doveri e alle tradizioni autoctone! Quindi, nel pomeriggio io, Michy e Cri siamo andate con Mangla alla ricerca delle cavigliere, ma non c’era nulla che ci interessasse. Mentre tornavamo a casa in autoriksciò, ci siamo fermate in una gioielleria e ho trovato le cavigliere dei miei sogni, queste:
Non sono bellissimissime e troppo da Sò???
Sulla strada del ritorno ho strappato all’autoriksciòvala la promessa che quando andremo a Ramnagar dalla famiglia di Mangla mi farà provare a guidare. Ovviamente l’autoriksciòvala è un parente di Mangla, ormai conosciamo tutti i suoi parenti e amici, perché c’è quello che vende seta, quello che vende le sari, chi fa il gioielliere, chi vende il chai (tè)… A proposito di chai… mentre aspettavamo che arrivasse il gioielliere, ci siamo fermate a berne uno per strada, da un nipote della nostra cuoca. Che più che un chaivala (dove il suffisso -vala, o -wala, -walla, indica chi vende, fa o produce una certa cosa, tipo: “riksciòvala” è colui che porta il risciò) pareva un “moscavala”,vista la quantità di mosche che giravano… Che schifo! La Cri era talmente entusiasta di bere il suo tè che ad un certo punto dal cielo è arrivata la salvezza: un piccione ha sganciato una cacata direttamente nel suo bicchiere, con una mira impressionante ché manco Guglielmo Tell!
Comunque tutto bene, a parte questo episodio e il tentativo di tradimento da parte della Michy, che sembrava molto vicina al riksciòvala… Povero Prakash, il promettente chaivala delle viette di Varanasi, che ormai si scartavetra i denti per farli sembrare più bianchi, visto l’apprezzamento da parte della Michy… Non importa se, come tutti gli indiani, si vesta in maniera ignobile e tutte le mattine si faccia leccare sapientemente i capelli da ogni vacca che incontra nel suo percorso casa-lavoro (sempre che abbia una casa e non dorma dietro il banchetto). Cotanta beltà è equamente distribuita in un metro e mezzo di altezza (di bassezza, più che altro), praticamente sopra la norma! Questo è il tipico ragazzo di Varanasi, se escludiamo i denti bianchi, visto che qui a furia di masticare il paan (un miscuglio rosso a base di betel, noce moscata ed erbe digestive) hanno tutti i denti rossi e completamente rovinati. Per di più si ostinano a parlare con ‘sto pastrocchio in bocca e poi si domandano perché non li capisci! Quindi, amiche mie, non vi consiglio l’India come luogo per incontrare l’uomo dei propri sogni. Anche se la domenica sul giornale ci sono gli annunci matrimoniali, e in giro per le strade ogni tanto si vedono le insegne di “arrangiatori di matrimonio”.
Arrivate finalmente a casa, c’era Neelu, la ragazza che avevamo chiamato per farci fare l’hennè che ci aspettava da più di due ore, povera bimba. Ci siamo fatte fare l’hennè su mani e braccia (a metà), c’ha impiegato un’ora per ciascuna! È stato un salasso, abbiamo pagato 150 rupie ciascuna, poco più di 2 euro!!! Ma le abbiamo lasciato una mancia di 50 rupie in tre, visto che l’avevamo fatta aspettare così tanto! È stato molto rilassante, anche se poi abbiamo dovuto aspettare 4 ore per toglierlo… Per fortuna Mangla ha pensato a noi e ci ha fatto il riso e le patatine fritte, e ogni tanto le insaporivo con i pezzetti di hennè secco che cadevano. Che puzza, tra l’altro! Però una volta tolto tutto è davvero moooolto bello da vedere!



Adesso vado a nanna, e vedremo domani cosa mi sembrerà svegliarmi con le mani marroncine! ;o)
Notte,
Sò!

25 ottobre



Sono quasi due giorni che non funziona internet, cheppalle! Finalmente ieri sono andata a ritirare il mio completo-specchietti-per-le-allodole pronto, a cui ho fatto cucire un nastro per farci il fiocco. Della serie “perché la Sò vuole passare inosservata”, eccolo in anteprima per voi:

Poi ho fatto altri acquisti importanti, tipo i braccialetti (quelli verdi alla fine li ho dovuti spaccare, per toglierli), i bindi (l’ornamento che si mette sulla fronte), Io c’ho impiegato tre ore a sceglierlo, strano, eh? Alla fine ho optato per uno “leggermente” vistoso, ma molto bello. Inoltre, ho fatto incetta, come al solito, di caramelle per i bimbi. Ormai quelli che abitano qui vicino mi conoscono e cominciano a chiamarmi da lontano “Sonia didiiiii!”. Ho fatto amicizia anche con qualche vicina di casa. Con le donne è un po’ più difficile rapportarsi, perché sono piuttosto diffidenti, e spesso non vedono di buon occhio le
straniere. Però se vedono che giochi con i loro bambini, che regali loro le caramelle sono contente, e quando poi scoprono che parli che parli hindi, basta: è fatta! Per altro, la maglietta con l’alfabeto devanagari (letteralmente “della città degli dei”, ovvero l’alfabeto della lingua hindi) da 20 rupie, è un ottimo mezzo per fare amicizia: è capitato un tre volte che delle signore che conosco -seppur poco- cominciassero a leggere l’alfabeto, avendo ben cura di toccare tutte le lettere!
Certo, mi sconcerta molto di più vedere gli uomini che se ne vanno in giro mano nella mano, con le dita intrecciate. Questo per amicizia, okay. Ma Mili ci ha raccontato addirittura che spesso qui la repressione sessuale è talmente esasperata, e l’ipocrisia della società talmente radicata, che spesso le prime esperienze sessuali degli uomini sono con altri uomini. E non perché sono necessariamente gay, ma perché evidentemente vale la legge del “ndo cojo cojo”.
Cambiando discorso, oggi Raju si è complimentato con me, perché, oltre ad aver fatto bene le traduzioni, ho parlato tanto senza fare troppi errori. È l’unica persona che è contenta del fatto che io chiacchieri così tanto e volentieri!
Nel pomeriggio, io, Michy e Cri siamo andate a ritirare le nostre blouse (cioè il top della sari) dal sarto. Che ridere, la forma ricorda molto quella dei reggiseni di Madonna nel video di “Like a Virgin”, sono obbrobriosi! Per di più lasciano la panza completamente scoperta!
Il padrone del negozio di sari, tra un “I’ll tell you sister” (“ti dirò sorella”, dove “sorella” sarebbe il corrispettivo inglese di “didi”, sarebbe!) e l’altro, ha consigliato a tutte e tre di comprare i braccialetti (indispensabili con la sari) “maroon”, cioè bordeaux. Ma ovviamente di comprarli dal suo amico, che ce li ha più belli, più resistenti, più economici e più luccicosi del mondo. Se fosse per lui dovremmo comprare lo stock di braccialetti maroon! Ché poi sono strani gli indiani. Loro non hanno certo problemi di accostamento di colori o di abbinamenti: le donne comprano un pezzo enorme di stoffa per farci la sari e viene fuori anche la blouse, oppure ci fanno il salwar kamiz con la dupatta (sciarpa), non come noi che dobbiamo abbinare maglietta, pantalone, maglione, giacca ecc. ecc… C’è qualcuna, poi, che deve abbinare persino le calze e le mutande, ma lasciamo perdere.
L’evento del giorno è stato il ritorno trionfale di Pasto, che resterà con noi fino al giorno dopo Divali, la festa delle luci e dei colori, che sarà il 28. Mangla è emozionata e non fa altro che accompagnarci a prendere braccialetti, cavigliere, bindi e quant’altro, perché a Divali bisogna indossare vestiti e ornamenti nuovi. Per cui mi toccherà sacrificarmi, non vorrei mancare di rispetto agli indiani e delle loro tradizioni! Comunque stiamo stilando una lista dei posti dove ci deve portare Pasto, i cosiddetti “Fausto’s Duties”, lista che è stata compilata alla luce di una torcia elettrica in un ristorante vicino all’Assi ghat, gestito da un’italiana e un nepalese. Abbiamo mangiato quattro tipi di pasta, di cui una all’arrabbiata “un po’ saporita”, per dirla come Michela; ovvero mooolto piccante. Poi mi prendono in giro perché appena comincio a mangiare qualcosa di un po’ speziato comincia a colarmi il naso. Tra l'altro, ormai non solo mi sono abituata a mangiare piccante, ma persino la cipolla e l'aglio, che normalmente non posso neanche vedere!
Al ritorno, invece di andare in risciò, siamo tornati a piedi lungo i ghat, una passeggiata sul lungo Gange, molto suggestivo. E ora sono di nuovo a casa.
Sò!

giovedì 30 ottobre 2008

23 ottobre

Che giornatina piena oggi! Dopo una lezione di hindi molto interessante, nel corso della quale il nostro Raju si è dimostrato un facinoroso che ha valorosamente combattuto contro il vicino di casa eroinamone, eufemismo per dire che l’ha saccagnato di botte, e che ha addirittura annunciato alla Michy e alla Cri che probabilmente domani non farà lezione perché sarà in prigione per aver picchiato questo tizio!
Stavo pensando oggi che ormai andare in giro per le viette qui intorno è impegnativo, si tratta tutto di un lavoro di pubbliche relazioni, visto che bene o male mi conoscono tutti e mi salutano tutti, e ovviamente ricambio con piacere. C’è la didi (letteralmente “sorella maggiore”, è un termine con cui ci si rivolge alle donne piuttosto giovani; poi c’è chachi, “zia”, e dadi, nonna) di fronte a casa, che vende generi alimentari e non (i supermercati indiani, ovvero una persona dietro un tavolo e attorno millemila cose che, prima di consegnarle al cliente, spolverano accuratamente con uno straccio), e che quando ci vede sorride perché sa che compreremo qualcosa -preferibilmente dolci-. Poi c’è la signora piccolina con la mamma/suocera che mi salutano sempre, e che oggi hanno sorriso compiaciute quando ho risposto “namasté didi, namasté dadi!”, e poi ci sono tutti i dukandar di vestiti, che dovrebbero ormai baciare la terra dove cammino! Ci sono i bambini, quelli che camminano mezzi nudi e scalzi e quelli tutti precisi con la cartella e la divisa della scuola, ai quali distribuisco caramelle. Il categorico divieto di non accettare caramelle dagli sconosciuti, qui non vale. Ci sono i soliti rompiballe, ma a quelli basta rispondere male, come ho già scritto in precedenza.
Ci sono i motociclisti, che a malapena passano per le viuzze strette, ma che strombazzano senza remori, sulle loro moto Here Honda con targa firmata “I love God”, con gli specchietti inarcati verso l’interno e con almeno un passeggero a bordo (ma anche due, o tre. La Cri racconta di una moto che portava cinque persone), le donne sedute all’amazzone. Ci sono le bici, che passano scampanellando per farsi largo tra la folla. Ci sono i baba vestiti d’arancione che camminano con il bastone. Ci sono gli autorisciò (ovvero gli apecar adibiti a taxi) che bloccano il traffico (pedonale, ça va sans dire). Ci sono le vacche, i bufali, i tori, che passeggiano indisturbati nei vicoletti. Ci sono, infine, protagoniste della strada, le buasce, quelle cacate di vacca enormi tra le quali bisogna fare la gimkana. E considerate che qui molti, moltissimi indiani, vanno in giro scalzi.
Nel pomeriggio, sono andata con la Silvia e altri ragazzi argentini all’università, la BHU, una delle più grandi dell’India. Dopo tutti questi giorni, ho finalmente visto dei prati, alberi, del verde, insomma. Che emozione! C’erano pavoni reali, scoiattoli e altri animaletti carini che gironzolavano tranquilli per i giardini.
Mancavano le scimmie, ma abbiamo ampliamente recuperato facendo tappa al “Monkey temple”, dedicato ad Hanuman, il dio-scimmia che, insieme al suo esercito, ha aiutato Ram (avatar, ovvero manifestazione terrena di Vishnu) a sconfiggere il demone Ravana -il quale aveva rapito Sita, sposa dell’eroe- e a riconquistare Lanka (l’isola dello Sri Lanka, appunto). Tutto questo è narrato nel Ramayana, uno dei testi più importanti per gli hindu. Comunque, dicevo: “monkey temple”: un bel posticino, assolutamente degno di tal nome vista la quantità inaudita di esemplari. L’ingresso nel tempio è possibile solo a piedi nudi, solo che si scivola amabilmente e bisogna stare super attenti a non cadere! Poi siamo tornati in autoriksciò, in quattro, e durante il tragitto ho suonato lo djambé insieme a Vinod, nepalese, mentre la Silvia faceva tintinnare i sonaglietti, probabilmente un giocattolo per le scimmie.
Dopo aver comprato al volo un paio di infradito nuove, visto che le mie mi avevano appena abbandonato nel bel mezzo del cammino di Godolya, abbiamo assistito al saluto al sole sul ghat principale, uno spettacolo estremamente emozionante, che non avevo ancora visto. Uno dei brahmani che presiedevano il rito muoveva le mani in maniera incantevole, e poi tutte quelle candele che splendevano nel buio sulla riva della Ganga…

http://it.youtube.com/watch?v=UQY2ov8CsFc
E poi siamo tornate a casa e io finalmente ho avuto l’ottima notizia: il manager mi ha procurato una sim indiana! Menomale, dal momento che ho portato due sim italiane e non ne funziona nessuna!
A cena siamo andate a mangiare alla solita pizzeria sull’Assi ghat, e, mentre ero sul risciò, mi sono quasi emozionata vedendo un cartello blu che indicava il luogo di nascita della mia amata rani di Jhansi. Ci devo andare, uno di questi giorni.
Buonanotte,
Sò!

domenica 26 ottobre 2008

22 ottobre 2008

Lo so, sono senza ritegno. Ma è da quando sono qui che ogni volta che vedo quelle gonne tutte piene di specchietti e di sbarluccichi mi vengono gli occhi a cuoricino. Quindi oggi sono entrata e ho chiesto il prezzo e blablabla. Ovviamente mi sono seduta e ho cominciato a raccontare da dove vengo, cosa ci faccio qui, se sono sposata, dov’è mio marito, se ho figli… Insomma, le tipiche cose che si chiedono anche in Italia ad una ragazza della mia età. Ehm. In ogni caso io dico sempre di essere sposata, per evitare casini e così via. Anche se penseranno che sono una moglie degenere, ma insomma, sempre meglio che zitella, no? Poi è arrivato anche il papà del negoziante, che ha un altro negozio quasi attaccato. Le conversazioni con gli indiani iniziano tutte così:
Indiano: Ver are you from? (Da dove vieni, e mi raccomando l’accento indiano!)
Sò: Dall’Italia!
Ind: Ooooooh, woooooow, come il nostro primo ministro, Sonia Gandhi!!!! Oooooh che brava che è, la amiamo tutti!
Sò: Sì sì, e anch’io mi chiamo Sonia!
Ind: Noooooo, non ci credooooo! Davvero???? Oooooh che meraviglia!!!
Bè, preamboli a parte, il fatto di parlare hindi mi apre davvero tante, tantissime porte. Innanzitutto non è affatto vero che tutti gli indiani parlano inglese. Provate a intavolare una conversazione in inglese con qualche dukandar (negoziante) di generi alimentari e non e poi mi riferite. Non vale se l’indiano in questione sorrideva conciliante e ciondolava il capo dicendo “yes”, anzi: quello è il chiaro sintomo che non ha capito ‘na mazza. E poi funziona con i rompiballe che ci sono sulla strada principale, che offrono di tutto, dai risciò ai punjabi dress alla marijuana, e che asseriscono di conoscerti da tempo. Ormai li guardo minacciosa e intimo “Juth mat bolie!” (non dire bugie!), come mi ha insegnato Raju, e loro scappano terrorizzati.
Comunque stavo raccontando della gonna. A parte il fatto che il dukandar mi ha proposto uno sconto nel caso avessi comprato due completi, uno per me e uno per una mia amica. Gli ho risposto che sono solo io la fuori di testa che ha il coraggio di mettersi un completo simile. Ho provato la parte sopra, il top, ma era troppo piccolo. No problem, mi ha rassicurato il dukandar: faccio un taglio qui, attacco un pezzo qua e sarà perfetto. Altro che chiamare fornitori! Qui basta andare dal sarto a due negozi di distanza e far sistemare tutto a lui.
Ah, oggi Raju mi prendeva in giro perché quando sbadiglio faccio casino perché mi scatta la mascella, e mi ci vogliono almeno tre riprese da una decina di sbadigli l’una affinché si rimetta al suo posto (tra l’altro, scriverne mi fa sbadigliare ancora di più!). Per vendicarmi allora, mentre traducevo una delle solite frasi riguardo a Mangla che cucina pollo, ho aggiunto di mia sponte che io preferisco la carne bovina. Lui ha strabuzzato gli occhi e mi ha guardata sconvolto: “Perché, tu mangi carne di mucca?????”. “Zarur! Certo!” ho esclamato io, e ho cominciato a decantare le lodi della carne bovina e a raccontare quanto io abbia voglia di una bella fiorentina all’osso… Che poi, così mi faccio più male io: oggi pensavo che avrei tanta voglia di gianduiotti… e poi di prosciutto e mozzarella. E di focaccia, magari di Recco. Un’utopia. Un sogno, anzi. E allora lasciatemi sognare per davvero, paradisi di salsicce, laghi di Lambrusco, distese di lasagne, montagne di profiterole. Continuiamo così, facciamoci del male!
Eddai, ora vado a nanna per davvero, ché domani mi ha detto Raju che devo avere tanta, tantissima forza ed energia per la lezione, quindi mi sveglierò presto e ripasserò tutto. Uh che brava tusa! Poi stasera io e la Michy abbiamo sperimentato sulla nostra pelle (è proprio il caso di dirlo!) la maschera all’argilla indiana, molto probabilmente del Gange, che Mangla ci ha presentato come una pozione miracolosa contro i brufoli, che qui, tra spezie, inquinamento, caldo e altre schifezze varie, fioriscono che è un piacere.

21 ottobre 2008

Stamattina mi sono svegliata con un mal di testa terribile, che solo san Paracetamolo è riuscito a sconfiggere. In ogni caso non sono riuscita ad andare da Raju: mi sono messa a letto con la sciarpa legata strettissima in fronte. C’è di buono che lo squarao è passato, anche se ieri eravamo tutte (e per tutte dico io, Michela, Cristina e Silvia) debolucce. Un ottimo motivo per andare a far merenda al Lotus, con vista sulla Ganga, dove ho mangiato la macedonia, accompagnata da un ottimo ginger-honey-lemon, a proposito: devo comprare lo zenzero e il miele (e qui non c’è il miele di fiori d’arancio, anche se, chissà, potrei chiedere a Nawal…) così lo faccio a casa. Invece la Silvia, poraccia, ha la febbre. Ormai a Ram Bhavan siamo rimaste in cinque: noi italiane e Mili, la signora spagnola che parla millemila lingue .
Aaaaah! Dimenticavo l’evento di ieri: l’appuntamento dal sarto per fare la blouse, ovvero il top da mettere sotto la sari. Ha cominciato a prendere misure: seno, vita, maniche… Ma il momento più esilarante è stato per la scollatura: 7 cm, 7 e mezzo… Abbiamo provato ad accennare ad un 8, ma ci ha guardate inorridito, un po’ come l’estetista quando le avevo chiesto la ceretta all’inguine. A proposito: quando ho raccontato a Raju della mia rocambolesca avventura dall’estetista mi ha guardato stupito perché in fondo in India si sta sempre coperte, per cui a che pro depilarsi??? Più che altro sono dell’opinione che qui in giro ci siano già troppe scimmie, ecco. perché
Stasera io, Michela e Cristina abbiamo fatto il passato di verdure, anche se abbiamo rischiato che il risultato non fosse 100% vegetariano, come indica il pallino verde sulle confezioni di cibo. Infatti, siccome non bastavano scimmie, vespe, geki ben pasciuti, scoiattoli ed insetti di ogni specie, colore e dimensione, la fauna locale di Ram Bhavan si è arricchita di nuovi elementi: i topi!!!! Il primo avvistamento è avvenuto alle 18.15, ora locale, da parte di Cristina, che ho scoperto il roditore mentre se la spassava allegramente e saltellava sul suo letto. In seguito, gli esemplari sono stati avvistati anche tra le piante, e in cucina: due di loro erano impegnati in un inseguimento mozzafiato, mentre Mangla li osservava e rideva a crepapelle ed esclamava: “Ahahah, guarda come si rincorrono! Saranno sicuramente un maschio e una femmina, ahahahah!”.
Dicono che ora che comincia a fare meno caldo ne usciranno a bizzeffe. Uh che gioia!
Del resto, sui tetti di Varanasi ci sono solo scimmie, e si sa: quando i gatti non ci sono, i topi ballano!
Con questa pirla di saggezza passo e chiudo.
Sò!

19 ottobre 2008

Finalmente (?) è arrivato il temuto e temibile squarao time!
Dev’essere stata l’emozione per aver finalmente mangiato della carne rossa, montone, che ci ha preparato Mangla con tanto amore, fatto sta che ho passato la giornata sulla tazza. Per tamponare ho bevuto il celeberrimo nimbu pani, (ormai soprannominato Nimbupan, che sembra tanto il nome di una medicina) l’acqua col limone (per favore) che qui è particolarmente amata, e si beve con un po’ di zucchero e un pizzico di sale, anche il sale nero (che cioè, io non sapevo neanche esistesse!!! E comunque dev’essere una qualità particolarmente ricercata). È deliziosa e con la scusa dello squarao ne bevo a litri. Oggi, non ho fatto assolutamente niente, se non dormire e farmi fare i massaggi da Mangla, a, e bere un infuso di tè al Monalisa, pagato 5 rupie, mamma mia, è che ora che mi hanno cambiato la camera, ed è più grande, con il letto a una piazza e mezza, una scrivania degna di tal nome e addirittura due armadi a muro, con tanto di terrazza, pago addirittura 350 rupie al giorno (colazione e pranzo e atmosfera familiare comprese) mi toccherà andare a chiedere la carità oppure a vendere cartoline sui ghat!!!
Dai, basta dir scemate, vado a nanna.
A domani,
Sò!
P.s. : oggi abbiamo trovato un negozio nuovo, che vende un sacco di cosine carine di legno. L’oggetto in assoluto più assurdo e incredibile è questo:


l’anima russa mi perseguita anche qui!!!




18 ottobre 2008



Ieri notte siamo tornati alle 3.45, con somma gioia -ehm- di Mangla che a momenti ci aspettava con il mattarello in mano.
Come previsto, siamo andati all’Assi ghat, dove ci siamo ritrovati nel bel mezzo di un’invasione di cavallette. Che ovviamente facevano festa, con tutte le luci accese! (poi non importa che nelle case la corrente vada via per svariate ore, sono dettagli!) Abbiamo mangiato una pizza commestibile e una torta di mele con gelato alla vaniglia deliziosa. Io ho bevuto lemon soda, che non è la roba chimica che vendono da noi: è proprio succo di limone con soda, che buono! Poi che ridere, sono andata in bagno e qui non si usa la carta igienica: in genere c’è una turca e un rubinetto basso vicino con un contenitore di bronzo per potersi sciacquare una volta finiti i propri bisognini. Siccome il rubinetto perdeva, ho intelligentemente pensato di chiuderlo, ma ha cominciato a schizzare ovunque e io mi sono ritrovata bagnata fradicia.
Finito di mangiare, ci siamo seduti sui ghat ad assistere ad un festival kitchissimo, evidentemente molto popolare a Varanasi, e abbiamo potuto seguire una performance molto bucolica, con musica indiana-yodel e capretta tra gli spettatori. Mancava giusto Heidi! (ecco a voi un assaggio:




Poi la Silvia ha cominciato a giocare con dei cagnolini cuccioli che c’erano lì, tutti pelle ed ossa. È incredibile come qui tutti i cani siano uguali, scheletrici, beige chiaro, quasi senza pelo. Molti stanno al calduccio sotto i fornelli dei negozi di dolcetti. Tutti passano il tempo a grattarsi, chissà quante pulci, zecche ecc ecc… altro che Frontline!
Poi siamo finalmente andati alla festa, eravamo in 7 su una Peugeut bianca, e ci sentivamo addirittura comodi, abituati come siamo ai risciò!
Eravamo una quindicina in tutto alla festa, con Nawal a presiedere e a rimarcare il proprio ruolo, tra svariate bottiglie di alcool sul tappeto. Non bevevo birra da quando ero in Italia, qui non la servono neanche al ristorante, per non parlare del vino!
Un amico di Pasto di cui non ricordo assolutamente il nome ballava nel suo Bollywood style, una ragazza equadoregna ci insegnava i passi di ballo latinoamericano e io mi esibivo nella danza della panza.
La festa è stata carina, poi alle 3 siamo andati alla ricerca di un risciò, ma ce n’era solo uno in giro e sarebbe stato assurdo pensare di starci in quattro (io, la Michy, la Cri e la Silvia, mentre Pasto e Dinita tornavano in motorino), anche se il riksciòwalla ci stava provando, a portarci. Trovato il secondo risciò abbiamo attraversato una Varanasi deserta, quasi una città fantasma, desolata, inquietante. Sotto i cancelli dei negozi (qui non ci sono molte saracinesche) si ammassavano uomini e donne addormentati. Un baba rubava il borsone-cuscino da sotto la testa di un uomo che russava. I cani giacevano in mezzo alla strada, a fianco di vacche, tori e bufali. Qualche bottega di paan (un insieme di erbe digestive e tabacco che qui masticano continuamente, e poi sputano, lasciando delle grosse chiazze rosse per terra) era ancora aperta, però, e addirittura c’erano crocchi di adulti e bambini che raccoglievano mattoni. Era incredibile vedere Godolya, una delle rotonde più trafficate, caotiche, babeliche e pericolose, completamente vuota, silenziosa, buia. Sembrava quasi di essere in un film western.
Aveva ragione Pasto quando diceva che qui a Varanasi non esistono vie di mezzo: è una terra di dicotomie, contrasti, molto più di qualsiasi altro posto dell’India, dove la vita e la morte sono così vicini, e matrimoni e funerali si celebrano a pochi passi di distanza l’uno dall’altro. Dove si va per fare un pellegrinaggio e si spera di morire cremati sulle sponde della sacra Ganga (il Gange, così come tutti i fiumi indiani, è considerato una divinità e, a parte rari casi, si tratta di divinità femminili) per potersi meritare direttamente il moksha, la liberazione dal ciclo di morti e rinascite che è il samsara.

Stanotte per di più, ho dormito pochissimo, perché in questi giorni mi hanno trasferito nel dormitorio al primo piano, e qui alle 7 cominciano a gridare, a suonare, poi c’è il baba che comincia a cantare… Fatto sta che mi sono alzata con la luna storta. Poi sono andata a lezione da Raju e poi ho fatto il riposino.
Per oggi è quanto.
Sò!

sabato 25 ottobre 2008

17 ottobre 2008

stamattina ho fatto una fatica terribile ad alzarmi, non stavo affatto bene e da Raju ho fatto una figura ignobile! Per fortuna che lui è molto comprensivo e soprattutto, menomale che da domani potrò andare alle 11!
Oggi sono finalmente andata a ritirare la mia sari (in hindi, in genere, i sostantivi che terminano in "i" sono femminili) pronta e stupenda con le pietruzze rosso magenta, ora mi manca solo di fare il top da mettere sotto, ma per quello dobbiamo passare tra qualche giorno che il padrone del negozio ci porta dal sarto.
In compenso, ieri ho comprato una sari di seta leggera per l’esosa cifra di 350 rupie (poco più di sei euro) e mi sono fatta fare un completo veramente bellissimo, con tunichetta e pantaloni Ali Baba. Purtroppo non c’era abbastanza stoffa per fare la dupatta, la sciarpetta. Altro che produzione in serie: qui tutto è fatto a mano, nei negozi ci sono gli omini con le macchine da cucire, delle vecchie Singer con il pianale di legno e il pedale. È così poetico! Non esistono le taglie, si prova quello che c’è in negozio e se non va bene/vuoi un altro colore/un altro modello, te lo fanno per il giorno dopo. E pensare che in Italia solo per un orlo ai pantaloni ti fanno pagare un occhio della testa!
Comunque il completo lo metto stasera: con Pasto e Dinita, la sua morosa, andiamo alla festa di Nawal, probabilmente uno degli uomini più ricchi (nonché potenti e influenti) di Varanasi. La Michy e la Cri sono andate nel suo negozio e hanno detto che c’è veramente di tutto, e anche Pasto ha detto che se abbiamo bisogno di qualsiasi cosa dall’Italia lui può procurarcela. Io pensavo di sfidarlo a farmi mandare i pangocciolì!
Ora esco, insieme alle ragazze, ad Amarnath (il factorum) e la sua nipotina Soni, andiamo a un festival sull’Assi ghat e magari a mangiarci una pizza. E poi andremo alla festa. Non riesco a crederci, una festa!!!!
A domani,
So!

16 ottobre 2008

Ormai io, la Michela e la Cristina stiamo diventando le principali acquirenti dei cosiddetti pantaloni Ali Baba, larghissimissimissimi e il massimo della comodità. Altro che jeans, pantaloni risucchiati e a vita bassa (eh, mamma?)! Ora ho capito perché quando vanno in bagno non usano la carta igienica e si sciacquano direttamente con l’acqua: tanto se si sporcano o si bagnano non se ne accorge nessuno!
Stasera siamo andati in un ristorante moghul, mughal, oh insomma, mongolo! E abbiamo mangiato carne! Ormai è quasi un miraggio, dopo più di una settimana passata a cibarmi di riso-pane-verdure (in particolare patate)!!! Abbiamo mangiato molto bene, per salutare Ariele che domani parte. Mi dispiace, è davvero un ragazzo simpaticissimo!
Ieri, poi, è arrivata Silvia, un’altra ragazza di mediazione. Diciamo che la colonia italiana qui a Ram Bhavan è sempre numerosa e poderosa!
Ho conosciuto i bambini che abitano qui intorno, è bellissimo vederli giocare, buttarsi nella sabbia, correre e rincorrersi per le strade, sporcarsi. Altro che i bambini italiani! Mi ricordo che quando lavoravo alla scuola elementare, alle 4.30 c’era sempre qualche mamma che si arrabbiava con il figlio che si era sporcato giocando a pallone e che lo rimproverava per aver infangato le preziosissime scarpe nuove della Nike. Ma dai, io da piccola avevo le Superga tarocche e la tuta con i pantaloni con l’elastico in fondo con i Power Rangers!!!
Mi hanno circondata e mi hanno accompagnata nel cortile di casa loro, una sorta di casa di corte indiana, ma i genitori dei bimbi mi hanno cacciato fuori inorriditi, ci mancava giusto che mi dicessero “Sciò, sciò, pussa via!” che neanche con le scimmie sono così inospitali!
Ah, poi oggi sono andata a comprare i braccialetti, da una vecchina per strada. malmostosa da matti, proprio! Mi sono seduta nella tipica postura indiana, che consiste nell’accovacciarsi come se si fosse su una turca (dev’essere abitudine, qui non usano il water ma, appunto, la turca), ma dopo un po’ mi sono stufata e mi sono seduta come gli altri indiani: quelli d’America, cioè a gambe incrociate, occupando i tre quarti del passaggio con il mio culone (a proposito: chi l’ha detto che in India si dimagrisce??? Io qui sto ingrassando, e mi sto pure riempiendo di brufoli causa spezie). Come mio solito, ho impiegato parecchio tempo per scegliere cosa comprare, e alla fine ho optato per tre dozzine di braccialetti di vetro(60 rupie in tutto): una dozzina rossa, una verde e una nera con decorazioni bianche e rosse. La vecchina malefica mi ha fatto togliere i bellissimi braccialetti colorati comprati il secondo giorno e mi ha vietato categoricamente di riprendermeli, e quando c’ho provato mi ha fatto una faccia schifatissima. Da quanto ho capito, porta sfortuna. Il problema è che mi ha messo i braccialetti verdi. E non so come abbia fatto ad infilarmeli, visto che ora non escono più! E non è che non escono più perché ho caldo, o le mani gonfie. No, non funziona neanche il sapone, è assurdo! Farò come le donne-giraffa in Africa, crescerò con questi bracciali al polso e quando me li toglieranno (o meglio: taglieranno o spaccheranno, qui non esiste altra soluzione!) sembrerò un’invertebrata. È che la pratica della rottura dei braccialetti mi rimanda al rito che veniva compiuto nei confronti delle vedove: infatti, la polvere rossa nella scriminatura dei capelli, il medaglione, il bindi (il puntino sulla fronte, il cosiddetto “terzo occhio”) (a proposito: per ridere un po’ guardate questo video,


http://it.youtube.com/watch?v=002AY4cb5uw

è una pubblicità indiana che io trovo geniale!) e i braccialetti di vetro colorati, appunto, sono gli ornamenti simbolo della donna sposata. E quando il marito moriva, tutti questi simboli le venivano brutalmente strappati dalle préfiche. Ora la situazione è diversa, grazie al cielo.
Ora vado a nanna, ché siamo tornati “tardi” per gli standard indiani! (Mamma, vedi che non è che io torno a casa tardi a prescindere? ;o) ) A mezzanotte! Ci sentivamo delle cenerentole, con Mangla che ci ha rimproverato perché eravamo in ritardo! Del resto qui la sera non c’è nulla da fare, e comunque il sole tramonta alle 17.30, per cui bisognerebbe andare a dormire presto e alzarsi presto. Sì sì, certo, contateci.


Sò!

martedì 21 ottobre 2008

14 ottobre 2008 - Lezione n°1: dall'estetista



Era un po’ che dicevo di voler andare dall’estetista per fare la ceretta. Così stamattina, quando ho sentito Mili (una signora spagnola che sta qui a Ram Bhavan e che viene a Varanasi tutti gli anni per almeno sei mesi) proporre a Raji, un’altra ospite, di andare al “beauty parlour” per fare il buco al naso, ho preso la palla al balzo. Mi sono fatta spiegare bene dove si trovava, e sono partita innanzitutto alla ricerca del risciò. Siccome sono una turista, per lo più occidentale, i prezzi sono sempre più alti del dovuto. Così bisogna alzare la voce, far vedere che sono bionda sì, ma parlo hindi e non mi freghi mica. Tiè.
Salita su un risciò ho sentenziato con aria decisa e perentoria: 15 rupie! Quello c’ha provato a dire 20 rupie, ma niente da fare. Quando gli ho detto che parlo hindi ha cominciato a chiacchierare, a raccontarmi della sua famiglia, della sua casa. Mi rendo conto che trasportare fino a tre persone con due, tre bambini, su un carretto barcollante in mezzo al traffico è probabilmente tra i più mestieri più faticosi che esistano. Se non mi sbaglio ne “La città della gioia”, Dominique La Pierre narra la tristissima storia di un riksciòwalla. Uomini che dormono dentro il loro taxi a pedali, il cui unico tesoro è un lucchetto, in un ambiente in cui la competizione è terribile, e non si fa altro che denigrarsi a vicenda (quante volte mi è successo che mentre ero su un risciò ne passava un altro vuoto e il suo conducente mi diceva “Ah, ma lui è malato, non vedi? Ti farà cadere!”). Che rischiano la vita continuamente, vita che comunque -considerando l’inquinamento, il pericolo, la fatica, il dolore, i monsoni, i 50 gradi- non si prospetta granché lunga. Eppure qui gli autobus non esistono, e il risciò rimane il principale mezzo di trasporto (sebbene forse il più infame, per chi lo conduce). Mentre mi abbandonavo a queste riflessioni e ciondolavo la testa conciliante alle parole ormai incomprensibili del mio Caronte (e questo lo dico con il senno di poi, certo), un gruppo di bambini appena usciti da scuola ha circondato il risciò, salutandomi con le loro vocette squillanti. Io non ho esitato a tirar fuori la mia amata macchina fotografica, e loro, a quanto pare non aspettavano altro: si sono messi in posa e poi si rimiravano sullo schermo. Arrivata finalmente a destinazione, ho fatto una foto a Raju,il riksciòwalla, che mi ha lasciato il suo indirizzo di casa per mandargliela posta. Ovviamente non elettronica. Che tenero.

Entro nel “beauty parlour”, di fronte a me una stanza, anzi no: uno sgabuzzino con una parete azzurra. Qui è dove faranno i massaggi, mi dico. All’estetista dai tratti cinesi e dalla sari salmone chiedo il listino prezzi. Dice di non averlo, e mi chiede cosa voglio. Un po’ in hindi e un po’ in inglese (perché sfido chiunque a sapere come si dica “ceretta” in hindi!) cerco di captare i prezzi dei vari trattamenti. Ci assestiamo su: ceretta completa 200 rupie (3 euro circa), 100 rupie per manicure e pedicure, ho deciso di viziarmi, oggi. Più che altro ho dimenticato di portare forbicine ecc.... in valigia. Con timore osservo l’estetista tirare giù da una mensola impolverata una latta dai bordi arrugginiti, che mette sul fuoco a scaldare. Le indico la parete azzurra sperando si tratti della stanza in cui si fanno cerette, massaggi e così via, ma proprio mentre la indico mi rendo conto che è solo un muro che conduce ad un cortile. No, no, siediti sulla sedia, mi intima. Una meravigliosa sedia da dentista nera, che neanche in Bielorussia erano così scalchignate! Comunque mi siedo, e guardo con terrore alla latta bollente di fronte a me. La mia aguzzina mi fa allungare le gambe e appoggiare i piedi su uno sgabello rivestito di carta da parati e mi dà un asciugamano (una asciugamani, come dicono la Mary e la Vale) per coprirmi le pudenda. Comincia a stendere la cera con una spatola di metallo, incurante del mio sguardo spaventato. Nel frattempo, noto che la tenda sulla porta non è tirata, quindi le chiedo di ovviare al problema, ma mi risponde che tanto fuori il vetro è nero (ammazza, ne sanno una più del diavolo queste estetiste autoctone!), infatti dopo poco ammiriamo l’espressione concentrata di un bambino che si scaccola fuori dalla nostra porta e si rimira poi soddisfatto.
Dopo neanche una decina di minuti che sono “sotto i ferri” entra una ragazza, che a quanto fare deve fare un lavoro molto veloce, per cui io vengo costretta a sedermi sull’altro scranno e aspettare, mentre l’estetista con un filo bianco che tiene tra i denti e poi attorciglia, definisce le sopracciglia alla cliente. Altro che pinzetta! Una volta finito, la ragazza esce e io torno a soffrire, ma anche questo dura poco, perché arriva un’altra cliente a cui deve fare le sopracciglia. Di fronte al mio imbarazzo mi rassicura con un “lady, lady!”. Sì bè, ci manca solo che entrino uomini, già mi vergogno così, figuriamoci!
Quindi mi tocca aspettare ancora e poi è di nuovo il mio turno. Quando le chiedo se può farmi l’inguine mi guarda inorridita manco fossi Jack lo Squartatore in persona, “NAHIN! NAHIN!” (no! No!). Era talmente scandalizzata che mi aspettavo mi buttasse addosso l’acqua del Gange per purificarmi (che poi, cioè… parliamone!)! Nel frattempo mi domando come farà a depilare la parte posteriore delle gambe, ma a quanto pare il problema non si pone. Non lo fa, e basta. Ecco l’efficienza indiana. Per lei è apposto così.
Vabbè, mi rifarò con la pedicure e la manicure. Nel frattempo, a quanto pare la manicure e la pedicure sono aumentate di prezzo. Quindi sono costretta a intavolare una discussione anche piuttosto lunga e animata (ché lo sapete che io sono pacifica e mai polemica) sui prezzi e su quanto era stato concordato in precedenza. Finalmente inclina la testa verso sinistra, chiude gli occhi e mormora “Tik he” (tipica espressione indiana per dire “va bene”). Mi passa sulle gambe e sui piedi una spugna imbevuta di acqua e sapone in un catino, e poi passa alle braccia e alle mani, che mi fa immergere nel suddetto catino. Mi lucida un po’ le unghie e poi afferra un tronchesino e comincia a tagliare. Malissimo, peraltro. Mi convinco che sistemerà tutto con la limetta (il cosiddetto “labor limae”, ahahah), invece no. Non è capace di usarla, e mi fa venire la pelle d’oca, così mi vedo costretta a prendere in mano la situazione e limarmi da sola le unghie. Mi aspetto che per lo meno mi faccia una buona pedicure, e le indico i miei piedini. Ma lei afferma che la pedicure l’ha già fatta. Cioè, dove? Quando? Com’è possibile che io non me ne sia accorta??? Le faccio il gesto delle forbici e lei mi spiega che no, percaritàd’Iddio, la pedicure qui si fa così, con la spugna, e non si tagliano le unghie (non parliamo poi dello smalto!), io le rispondo contrariata che per mettere i piedi in una bacinella d’acqua e sapone posso farlo benissimo anche a casa, ma non c’è niente da fare. Qui si fa così. Allora voglio almeno farmi una pulizia del viso come si deve, questa la farà coi fiocchi, dài. Ci si accorda su 450 rupie per tutto compresa pulizia viso e schiena.
Improvvisamente adocchio la mia borsa che langue sul pavimento con un’immensa macchia nera, di cui non si capisce l’origine. Poi mi accorgo che è il mio trattopen, che avevo dimenticato aperto dopo che il riksciòwalla l’aveva adoperato per scrivere il suo indirizzo. E così cerco di pulirmi le mani completamente nere, e cerco di bagnare la borsa con un po’ dell’acqua e sapone della bacinella di cui sopra.
Poi comincia la pulizia del viso, crema, massaggio, maschera… Poi mi sciacqua la faccia… E mi accorgo che l’acqua è sempre quella, in cui prima ho pucciato i piedi (e ve lo spiego quanto possano essere puliti i miei piedi qui, a furia di andare in giro a piedi nudi o in infradito, nelle stradine lerce e polverose e piene di mine), ma soprattutto in cui ho pulito la borsa sporca d’inchiostro!!!
Comincio a ridere da sola e mi dico che è inutile prendermela, sono in India, qui funziona così. Poi anche la figlia della mia carnefice, che ha assistito allo spettacolo, lo fa notare alla madre: io capto la parola kalam, penna, e le ripeto nella mia hindi maccheronica che l’acqua è sempre quella. Altro che “panta rei”, e Siddharta che non si bagna mai nella stessa acqua!
Ma fa niente, dài, koi bat nahin, come dicono qui. La situazione è talmente paradossale che non riesco a far altro che ridere e ridere e ridere ancora.
Per finire, apro la borsa per pagare e l’aguzzina adocchia due assorbenti: mi chiede cosa siano. Eh, come te lo dico in hindi??? Riesco a spiegarglielo in qualche modo e comincia l’inquisizione : “Ma dove li hai presi? Ah, in Italia sono così? Ma quanto durano???” Cavolo, mi pareva di essere di fronte a una spia della Lines indiana!!!
Poi ho scattato le foto, con somma gioia della boia e della figlia, e ho promesso che tornerò presto e gliele porterò. Ci tornerò di sicuro, più che per fare la pulizia del viso che, inchiostro a parte è stata bellissima, per farmi quattro risate, perché è stata davvero un’esperienza esilarante!
Sul risciò che mi riportava a casa ridevo da sola, mentre il riksciòwalla mi squadrava perplesso.

Per oggi è tutto. E direi che è addirittura troppo!
Sò!