domenica 25 ottobre 2009

4 ottobre 2009

Eccomi qui a raccontare quello che ho combinato qui a Varanasi questa settimana, e direi che ho un bel po’ di cose da condividere con voi…




Ma andiamo con ordine. Dal 30 settembre finalmente ho un numero indiano, e posso dunque chiamare senza dover ricorrere alla vendita dei miei organi ogni volta, il che è assolutamente positivo. La sim -che tra l’altro è quella che l’anno scorso avevano la Michy e la Cri, così posso dire che sono sempre con me :) - me l’ha portata Vargha, l’amico di Pasto, per colazione, e siamo stati un bel po’ a chiacchierare. È proprio bello parlare con lui, ha un tono di voce così calmo, pacato, rilassato… (lo so che starete pensando al mio, di tono… Gnegnegnè) Mangla tenta sempre di appiopparmelo, ovviamente invano.



Siccome è rimasto fino a tardi ho bigiato la lezione di Raju, e dopo mangiato ho lavato i capelli e sono andata a casa di Raghni, dove le donne di casa mi hanno coccolato e mi hanno fatto i massaggi -in alcuni momenti fin troppo energici!- alla testa e messo l’olio, e poi Toni mi ha fatto il mehendi, l’henné, ma solo sulla destra. Menomale, perché non è granché e ha disegnato pure un bel cuore con una S al centro, in pure Indian kitsch style, che davvero nun se po’ guardà.



La sera sono tornata da loro, che mi hanno aiutato ad accomodarmi la sari rosa -chissà se imparerò mai a metterla da sola!- e mi hanno messo anche il sindur, ovvero la polvere rossa che le donne sposate si mettono sulla riga dei capelli, insieme al bindi rosso tipo bollino Chiquita, ma quello proprio non mi piace, e preferisco di gran lunga i bindi in tinta coi vestiti (soprattutto quando, in Italia, mi chiedono se è un orecchino che si chiude dietro la testa… Tipo chiodo). Occhei, io ovviamente non sono sposata, ma dall’anno scorso ho imparato che qui è meglio inventarsi un marito immaginario, giusto per evitare i rompiballe che ci provano sempre (e che ci proveranno comunque, ma insomma). Così dico di avere un marito che mi aspetta in Italia, ma che non può venire in India perché deve lavorare. Non dico di avere bambini se no penserebbero che sono anche una madre -oltre che una moglie- degenere! Una volta, parlando con un gruppo di donne con una cospicua prole a carico, mi hanno detto che è meglio che il marito sia lontano, perché se no ci son troppi casini, e poi troppi figli. Avrei voluto spiegar loro che nel secondo caso esistono gli anticoncezionali, ma ho preferito tacere. In realtà Vargha mi ha spiegato che gli anticoncezionali esistono, sono ben pubblicizzati e costano pochissimo; non solo: le donne e gli uomini che si sottopongono alla sterilizzazione dopo aver avuto figli, vengono anche pagati! Certo è che il ruolo preponderante del maschio macho indiano non può mai essere messo in discussione, e tanto meno la sua virilità, quindi in genere gli uomini sono contrari agli anticoncezionali, figuriamoci alla sterilizzazione!

Tornando alla serata, io, la mamma di Raghni, Toni, Raghni, Prakash e Karan siamo andate a vedere la sfilata delle murti, le statue delle divinità che prima si trovavano nei pandal, e che venivano portate per le vie della città e poi buttate nella Ganga. C’era un casino terribile, ed era buffo perché ovviamente c’era la banda e gli uomini ballavano per le strade come dei tarantolati. Noi ci siamo messi nel tempio di Dasashwamedh ghat e ci siamo seduti a mangiarci le noccioline (che ovviamente non possono mangiare da sole, ma con una salsina piccante) e altro cibo da strada, mentre tutt’intorno a noi c’era gente che dormiva beatamente per terra. E non dico barboni, no no: semplicemente tipi che c’avevano sonno e che si sono addormentati lì dov’erano. Quella sera anch’io mi sarei addormentata volentieri lì, visto che ero stanca morta, e all’una eravamo ancora lì a guardare la gente che gettava le murti, quindi l’ho detto alla mamma di Raghni e lei mi ha fatto accompagnare a casa da suo nipote, visto che ovviamente non potevo tornare a casa da sola.









Il 2 ottobre in India si celebra il compleanno di Gandhi, e c’erano un sacco di vecchietti vestiti come lui che si aggiravano trasognati per le vie di Varanasi, con i loro cappellini arancioni. Ma io non ho festeggiato il compleanno di Gandhi, bensì quello di Karan, il fratellino minore di Raghni, che ha compiuto cinque anni, che per la grande occasione è andato al tempio e gli hanno -finalmente, dico io!- rasato i capelli a zero. Quindi festa grande, con una trentina di adulti e un imprecisato numero di mocciosi. Le donne hanno cucinato per tutti puri

(pane fritto, per le occasioni speciali), verdure e chutney (una salsina agrodolce). Ed è strano, se ci penso, perché è vero che sono poveri, e che quindi già il fatto che ci fossero i puri significava che era davvero un momento di festa, ma io sono pur sempre italiana, ed abituata a pranzi luculliani con millemila portate e insomma, non è che quella cena mi abbia proprio soddisfatto, eh!

Poi c’era la mini torta, con quintali di panna grassissima… innanzitutto dovete sapere che in India si usa molto imboccare, è un gesto di affetto nei confronti di grandi e piccini -con le mani, ça va sans dire- e ancor di più nelle occasioni di festa, con i festeggiati. Dopo aver imboccato Karan, hanno cominciato a imboccare anche gli invitati, ed è toccato anche a me. Solo che, dopo avermi imboccata mi hanno spatasciato per bene la panna in faccia, e la panna era talmente grassa che mi è rimasto l’unto sulle guance per tutta la serata, bleargh!



Io gli ho regalato degli adesivi di Nemo e un completino camicetta-pantaloncini, per cui ho dovuto girare mezza Varanasi. Perché i bambini, poveretti, vengono sempre conciati con vestiti kitsch in maniera assurda ed è davvero difficile trovare dei vestiti semplici in un tessuto decente che non sia plasticume ricoperto di borchie e scritte tamarre. Per fortuna sono riuscita a scovare una camicetta colorata a quadretti e dei pantaloncini neri, ma ho temuto che potessero non piacergli, conoscendo -sic!- i gusti indiani.




Come in ogni festa indiana che si rispetti, non poteva mancare la musica di Bollywood, e dovevate vedere come ballavano i bambini!!! Sembravano dei piccoli Shah Rukh Khan, erano meravigliosi. E poi volevano tutti che ballassi anche io, che cioè, avrei preferito sotterrarmi. Ma mi son fatta coraggio e ho ballato un po’ con Raghni e un po’ con Karan, giusto per fare la mia figura barbina quotidiana.



Poi sono andata a casa perché cominciava a piovere. Devo dire che in questi giorni sta piovendo un sacco, l’anno scorso in un mese e mezzo ho visto la pioggia solo una volta, mentre ora, boh, continua a diluviare… è vero che quest’anno il monsone praticamente non è passato, però che palle, non è che deve passare quando ci sono io! Tanto fa caldissimo lo stesso, non è che cambi qualcosa!


Ieri,3 ottobre mi sono svegliata con la gola in fiamme. Era un po’ di giorni che covavo il mal di gola, visto che sono costretta a dormire con il ventilatore acceso, ma da quel giorno è peggiorato. “Menomale” che esistono gli infallibili metodi di Mangla, la quale sostiene che la panacea ai miei malanni consista nel versare un po’ d’acqua in un thali, ovvero un piatto d’acciaio (come il resto delle stoviglie che si usano in genere nelle case indiane), fare una croce nell’acqua con un coltello e poi mettere il thali per terra e inginocchiarsi a berne l’acqua. Quando l’ho raccontato a Raju si è arrabbiato molto, lui odia tutto ciò che è superstizione, mentre per me è solo molto buffo e folkloristico.




La sera sono andata al Lotus Lounge, un bar-ristorante con una meravigliosa terrazza sulla Ganga, che è di proprietà di Martina, una signora tedesca che sta a Ram Bhavan. E devo dire che c’ho azzeccato alla grande, visto che c’era un panorama mozzafiato, con la luna piena che si specchiava nella Gangaji…

L'unica cosa rilevante di oggi è che ho comprato un’altra camicia da notte, ancora più bella della prima -alias Adriana la palandrana- di sangallo giallo canarino, detta Gina la canarina.

Last but not least, il mio progetto sta cominciando a prendere forma: Raju mi ha aiutato a stilare la lista di domande da porre alle diverse categorie di persone (abitanti del luogo, turisti indiani e turisti stranieri, operatori del settore turistico, ecc ecc…) e a tradurre, ovviamente, e mi ha consigliato di comprare un registratorino portatile, visto che non avrò certo il tempo di scrivere direttamente tutto ciò che mi rispondono… Tanto meno in hindi! ;o)

 

Baciugi a tutti, belli e brutti,




Sò! ^^





venerdì 23 ottobre 2009

28 settembre 2009

Di ritorno a Varanasi, mi sembra così strano accorgermi che nulla è cambiato dall’anno scorso, come se non fossi mai partita. Le persone qui in Bengali Tola (la viuzza che percorro per andare da Raju) si ricordano di me, mi salutano, mi chiedono come sto e si preoccupano perché sono dimagrita.



Ho conosciuto tutta la famiglia di Raghni, composta da mamma, papà, cinque figli (Toni, la maggiore, di 16 anni, Pankaj, il barcaiolo, di 15, Prakash, 12 anni, Raghni, 10, e Karan, il minore, di quasi 5 anni), mi hanno accolta come una figlia, felicissimi di rivedermi. Ho visto la loro “casa”: abitano fuori -sì, FUORI!- da un edificio, uno spazio di pochi metri quadrati sormontato da un telo di plastica. Un tavolaccio di legno è l’unico mobile che hanno, dove dormono Toni, Raghni e Karan, mentre gli uomini dormono sulla barca, e la mamma dorme per terra, sulla pietra. Ovviamente l’acqua potabile è un’utopia, e il bagno non c’è, se non ho capito male vanno alle latrine pubbliche. Ma sono persone molto dignitose e generose, e mi hanno persino offerto il chai, la cena…






Per il resto, qui fa un caldo terribile! Ci sono circa 35°C, ma con un’umidità del 97-98% praticamente ci si squaglia, ci si scioglie, e ci si liquefà, e si suda solo a respirare. Devo dormire con il ventilatore acceso e mi sveglio con il mal di gola, ma l’alternativa è non dormire affatto, quindi scelgo il male minore!






Ieri, sabato, sono andata con Alessandro a vedere la Durga puja in diversi pandal, ovvero delle strutture temporanee finanziate dalle famiglie del vicinato -quindi più le famiglie sono facoltose e più il pandal sarà ricco- o a mo’ di tempio che ospitano appunto le murti, le statue delle divinità, in particolare Durga, e dove viene celebrata la puja. In particolare, ci siamo fermati in un pandal in Kedar ghat, dove io ed Alessandro siamo presto diventati l’attrazione del luogo. Le donne si complimentavano con me per la mia mise (indossavo la sari) e ho fatto amicizia con una signora, estasiata dal fatto che parlassi hindi, che poi mi ha presentato tutta la famiglia. Poi ho conosciuto un’altra che ha voluto assolutamente lasciarmi il suo numero di telefono perché voleva invitarmi a casa sua, con grande imbarazzo della figlia adolescente. Nel frattempo, ho ricevuto un sms da un numero sconosciuto: era il ragazzino del treno! Mi ha scritto “ciao Sonia, sono badmash, come stai?”. Io ovviamente non gli ho risposto: mai dare troppa confidenza ai bimbiminkia (Giugi, a te il compito di spiegare questo termine alla mia mamma e al mio papà!) indiani!


Mi sono seduta davanti, insieme a queste donne, e ho seguito la cerimonia, che è sempre molto suggestiva, e coinvolge tutti i sensi, anche il gusto, visto che offrono sempre le prasaad da mangiare, dopo che sono state benedette. Suggestiva ma anche buffa, considerato com’era conciato il pandit…





Nel frattempo, sono arrivati anche Raju, sua moglie Sapna e la piccola Meghna, che mi ha raggiunta davanti. Durante la puja ci offrivano i fiori, poi li riprendevano, e poi ne davano altri… E io già avevo problemi a capirci qualcosa, poi, con Meghna in braccio a cui dovevo dare e prendere i fiori era un macello, ma è stato bello.


Dopo aver mangiato le prasaad, io, Alessandro, un suo amico e i suoi bimbi, siamo andati in giro a vedere altri pandal, e io mi portavo a spasso Pavni, la facevo ballare, e lei era tutta contenta. Ma non mi ero mai resa conto di quanto potesse essere pericoloso portare un bambino in giro in una città incasinata e senza regole come Varanasi!!!






Ieri sono andata con Alessandro al ristorante Aman, il ristorante preferito da me e dalla Cri e dalla Michy. Peccato che, lungo la strada, mentre camminavo a fianco di Ale, mi sono sentita toccare sulla spalla, mi sono girata e mi hanno palpato il culo! Erano in tre in moto, quindi non so se quello che s’è beccato la mia manata era il diretto responsabile o meno, in ogni caso era complice. Raju mi ha consigliato, la prossima volta, di prenderlo per l’orecchio e di tirargli una bella pizza in faccia, giusto per non smentire le mie origini italiche! (tra l’altro, qualche giorno fa in Vishwanath lane un vecchiaccio ha cercato di palpare, ma avevo il pugno pronto sul culo e gli è arrivata una manata e poi un calcio all’indietro).


Arrivati ad Aman, eccolo, il mittico Baffo ad aprirci la porta sorridente (era evidente che si ricordava di me!), e finalmente ho potuto gustare l’Almond Chicken, che sognavo da un anno. L’unico problema è stato che c’era troppa folla, e dopo un po’ al nostro tavolo s’è seduta una famiglia, con cui abbiamo prontamente fatto amicizia. Quando sono qui in India tutte le donne mi fanno i complimenti, mi dicono che sono bella, è proprio una sferzata alla mia autostima! Lo so che dicono che sono bella solo perché sono di carnagione chiara, ma insomma, non smontatemi!







Oggi, infine, ho fatto un ottimo acquisto: la “nighty”, la camicia da notte indiana, che arriva fino ai piedi -e che mi farà sicuramente inciampare- che le donne usano sempre, quando sono in casa. È comodissima! Ora capisco perché tra sari, salwar kamiz e nighty le donne non si fanno i peli in India!!! :D

Stasera ho visto un tramonto meraviglioso, dalla terrazza di Ram Bhavan... Per le altre foto vi rimando, come al solito, a: http://picasaweb.google.it/lemonsonia/LaMiaSecondaPrimaSettimanaIndiana02#





Ah, ecco cos’ho trovato su internet… E subito ho pensato: “Oh nooo... E adesso cosa ci faccio in India?!?!” Ahahah, scherzo, per fortuna si sono resi conto dell'ignominia del programma!!! Come ha ben detto la giornalista:


“La Tribù - Missione India” si candidava fin dal principio a diventare il... peggior prodotto della stagione. Una raccapricciante caricatura di un Oriente primitivo frugato, distorto e offeso dallo sguardo selvaggio e sempre più insolente di una tv che più...ignorante e spudorata non si può"


Ma ora mi rimane un dubbio: cosa farà Raz Degan?!? L'ho visto in aereo e pare che andasse lì... Tra l'altro sembra che al consolato abbiano fatto un sacco di storie per i visti... Non l'hanno dato a me il visto da sei mesi lo devono dare a questa banda di deficienti?!?!








NIENTE TIVù PER LA TRIBù


Dopo zuffe, rinvi e ritardi, Mediaset cancella definitivamente il nuovo reality di Canale 5.


Tanto tuonò che piovve. “La Tribù - Missione India”, il nuovo adventure-reality di Canale 5 è stato cancellato. A ufficializzare la decisione è proprio Mediaset che, esasperata dai gravissimi ritardi accumulati, attraverso un comunicato ha scaricato tutti i suoi fulmini sulla società incaricata della realizzazione del programma -la Triangle Production di Silvio Testi-, e ha messo la parola fine sul caso più ingarbugliato della nuova stagione televisiva. Banditi dal regno, in breve. Non c’è oggettivamente più posto nel palinsesto e la pazienza è esaurita.


Nello stesso comunicato parole di gratitudine sono invece state rivolte alla conduttrice Paola Perego, ai concorrenti e al proprio personale che sarà costretto a rientrare dopo un mese di vano lavoro sul posto.


Ma non può certo chiudersi così la partita e infatti, alla luce dei danni subiti, Mediaset si riserva ogni iniziativa giudiziaria a tutela dei propri diritti.


Un cataclisma che ha davvero pochi precedenti nella storia della tv e che ha però anche il sapore salato delle lacrime di coccodrillo.


Il disastro era annunciato. Tutto lasciava presagire tempeste. Prima l’insofferenza che Paola Perego aveva manifestato nei confronti del progetto. Un capriccio? Forse. Andiamo avanti.


Poi la rottura tra la conduttrice e l’azienda a causa di alcune dichiarazioni rilasciate da Barbara D’Urso e ritenute dalla Perego e dal suo agente oltraggiose e villane. Un altro capriccio? E vabbè. Pace fatta.


Poi ancora problemi nella trasmissione satellitare, il ritiro di alcuni partecipanti, il mancato rilascio dei visti per l’India e così via in uno slittamento continuo di date che ha condotto fin qui.


E proprio su queste ultime difficoltà la Triangle ha rispedito l’accusa al mittente addossando i ritardi che le sono stati rinfacciati alla stessa RTI che avrebbe chiuso il cast solo il 10 settembre.



Ma lasciando per un momento da parte le irrimediabili sciatterie organizzative, di cui -e questa è l’unica cosa chiara- si avrà modo di discutere in sede legale, “La Tribù - Missione India” si candidava fin dal principio a diventare il peggior prodotto della stagione. Una raccapricciante caricatura di un Oriente primitivo frugato, distorto e offeso dallo sguardo selvaggio e sempre più insolente di una tv che più ignorante e spudorata non si può.


Cancellazione quindi. E sarà il caso di rammaricarsene?

Ludovica Sanfelice

Baciugi a tutti e a presto,
Sò!







giovedì 1 ottobre 2009

25 settembre 2009 -Varanasi-

Ed eccomi di nuovo a Varanasi. Stanca morta ma felicissima di essere qui. Le ore in treno davvero non passavano più. Ho scritto un sacco, e non "solo" tutta la pappardella che ho ricopiato nel post precedente, ma anche sull'altro quaderno (ma, per la vostra fortuna e per la salvaguardia della mia dignità e della mia privacy non mi sogno proprio di pubblicare! E mentre scrivevo eccoli lì, impegnati a carpire qualsiasi indizio su di me. E poi non mi ricordo come, ma ad un certo punto abbiamo cominciato a chiacchierare, mi hanno chiesto di mostrargli il mio quaderno (tanto mica capivano!), mi domandavano cosa stessi scrivendo, in che lingua, e poi chi li fermava più??? Volevano sapere tutto su di me, com’è tipico degli indiani: chi sono, di dove sono, dove vado, cosa ci faccio in India…
Al momento della conversazione c'erano tre donne, quattro uomini d’affari, un gruppetto di cinque truzzetti locali, più vari ed eventuali che andavano e venivano. Il tipo di fianco a me, probabilmente un business man, un ragazzone abbastanza distinto e in carne, camicia gialla e pantaloni marroni a costine, orologio d’oro e due grossi anelli anch’essi d’oro, si dice sorpreso di vedere una straniera in sleeper class, mi considera molto coraggiosa, perché in genere i VIP (!!!) stanno in prima classe o vanno in aereo! Ahahah, mi fa ridere il pensiero di poter esser considerata una vip solo perché sono bianca e bionda.
Gli racconto del perché sono qui e gli spiego che voglio conoscere la vera India, e, per farlo, devo viaggiare in sleeper. In realtà, anche viaggiare in prima (perché tutti vogliono viaggiare in prima), potrebbe comunque essere utile dal punto di vista del progetto, ma costa troppo! Non certo da un punto di vista europeo, ma diciamo che se posso risparmiare qualcosa è molto meglio!
Gli spiego quindi il mio progetto e quanto sia importante per me mostrare che si può e si deve essere un ‘turista responsabile’ in India. Perché basta, che palle ‘sta storia di andare in India per far volontariato, perché “noi siamo bianchi e dobbiamo aiutarli e portare modernità e civilizzazione”. Io vado in India a studiare, a realizzare un progetto , a imparare. Sento di avere tanto da imparare da una civiltà nata nel 3000 a.C. E
  Aquel punto il mio vicino di posto mi pone una domanda. L’ultima domanda di Chi vuol essere milionario (Slumdog millionaire docet), di quelle che ti fanno riflettere, che ti mettono in discussione, che ti fanno approfondire un argomento su cui non ti eri soffermata a sufficienza è stata: “E cos’hai da imparare dall’India?”
Eh. Cavolo. Capite anche voi che la risposta non è così immediata. Ciò che mi viene in mente in quel momento, ma su cui rifletterò a lungo in questo periodo, è stato: innanzitutto la curiosità, questo voler conoscere ciò che per loro è diverso, strano, quasi incomprensibile, che poi appunto è quello che hanno dimostrato loro mentre io scrivevo col piglio della grafomane folle. Certo, a volte può dar fastidio, può esser considerato invadenza, ma a me non dà fastidio, perché denota spontaneità, ingenuità, innocenza. La tolleranza: eh sì, indiani, musulmani, sikh, jaina, cristiani e buddhisti convivono in pace (e questo fa meno rumore di tutti gli attentati e delle lotte intestine) da secoli in questo territorio, l’induismo stesso è un enorme calderone che ingloba anche divinità e santi legati ad altre religioni. Il rispetto per gli anziani, depositari di saggezza e, di conseguenza (e viceversa), il rispetto delle tradizioni, ciò che si sta perdendo in Occidente, in nome della modernità.

Mentre noi conversiamo, ogni tanto si aggiunge gente che si siede, si sdraia sulle cuccette in alto (sebbene i posti siano riservati). Il gruppetto di adolescenti è chiassoso e il capo è subito riconoscibile: è quello che scherza con tutti gli omini che portano il tè e libagioni varie, e ruba dal cestino un vassoietto di riso biryani, senza che l’omino che lo porta se ne accorga. Dopo richiama l’omino e gli dà i soldi, tanto ormai la stima dei compagni se l’è guadagnata. C’è un gran via vai di questi tipi che gridano “Chai chai garam chaiiiii” (tè tè tè caldo) e che per cinque rupie ti versano del latte diluito ion l'acqua in un bicchiere di carta e ci buttano dentro una bustina di tè. Poi ci sono quelli che portano il riso, i samosa, il daal con sopra la cipolla fresca, la zuppa di pomodoro, i salatini. Tutto preso e schiaffato dentro le foglie secche -che sono state fatte seccare a mò di contenitori ed usate per tale scopo, appunto- con le mani. Io mi limito a mangiare patatine piccanti e altre schifezze confezionate che avevo preso in stazione. Altri portano le bottiglie d’acqua, ed è divertente notare che esiste una marca che viene venduta solo nelle stazioni e sui treni, che si chiama “Rail” (ferrovia) e qualcos’altro che non ricordo. Ogni tanto arrivano donne che vendono fazzoletti e asciugamani (dei quadratini molto piccoli usati per tutto. TUTTO.), o ancora, omini che recano seco giochi per bambini (e non sono certo i giochi dei bambini italiani!), come le raganelle, altri che cercano di appiopparti giornali e libri di storielle e barzellette… Ce ne sono di tutti i tipi! Quando ci si ferma nelle stazioni, poi, ci sono quelli che vendono il tè e lo versano nei cocci, e te lo passano tramite le sbarre (quando ci sono) del finestrino, e tanti altri venditori di cibo cosiddetto ‘da strada’. 
Alla stazione di Lucknow, dove siamo arrivati a mezzanotte,  compro mezzo casco di banane piccole (mezzo perché avevo cinque rupie in moneta, e quello intero costava dieci). 
Quello che farà inorridire mio papà in primis e molti di voi -anche a me dà fastidio, ma qui funziona così!- è che sul treno non ci sono cestini, si butta tutto fuori dal finestrino. In generale, in India non ci sono le pattumiere per strada: si butta tutto per terra, e poi gli spazzini -o le mucche e i cani- arrivano e bruciano tutto.
Ovviamente con tutto questo magnare roba fritta, legumi, cipolle crude, nessuno lesinava su rutti e compagnia bella, o meglio: puzzolente e rumorosa, non oso pensare a cosa potrebbe succedere se pasteggiassero con la birra… BRRRRRRRRRRRRRR!!!


Ad un certo punto del mio viaggio non trovavo più il cellulare, così tutti si sono attivati per cercarlo. Il capo del gruppetto di truzzi indiani si è gentilmente e magnanimamente offerto di chiamarmi -ovviamente non senza secondi fini, ma tanto il numero italiano lo userò ben poco- mentre il tipo della cuccetta a sinistra mi ha detto che il cellulare era nella tasca davanti dello zaino. Chiacchierando con il capo branco tamarro che, oltretutto, continuava a chiedermi la penna, l’ho chiamato scherzosamente ‘badmash’, furfante, visto l’episodio del riso biryani. E lui se la rideva, oh come se la rideva, quel tabbozzo da quattro rupie.


Alle dieci di sera le luci erano già state spente, e mi sono sdraiata nella mia cuccetta in mezzo, ovviamente la valigia era stata legata con la catena e il lucchetto al gancio sotto il sedile, e ho cercato di addormentarmi. Faceva caldissimo ma dal finestrino aperto veniva un’aria tagliente, e non volevo rischiare la faringite come l’anno scorso, dopo il viaggio Varanasi-Delhi. Quindi mi sono coperta con la copertina rubata alla Business Class della Swiss, ma ovviamente dormire in quelle condizioni era una mission impossible anche per una dormigliona come me. 

Alle 5 di mattina è ricominciato il carosello di tè, acqua e giocattoli per bambini, che è andato avanti fino alle 6.20 quando, finalmente, il treno è giunto alla stazione di Varanasi. Non ne potevo più. Ho “dormito” con la borsa del computer sotto la testa, lo zaino addosso, la valigia legata con la catena, sono andata a far pipì solo una volta (!!!), ho mangiato solo patatine e tortine, ma sono arrivata.


Arrivata distrutta, ho chiamato il primo coolie (facchino) che ho trovato e mi son fatta portare il valigione. Mentre seguivo lui, e trascinavo me stessa, le mie litrate di sudore, il mio zaino e la mia borsa del computer, e le mie borse sotto gli occhi, eccolo il solito indiano marpione che mi apostrofa con un “Hey sexy”. Sexy da morire, proprio, guarda.

Ho preso il primo risciò che mi ha fatto un prezzo accettabile e ho attraversato una Varanasi ancora addormentata, illuminata dalla luce fioca del sole appena sorto. Sono arrivata a Dasashwamedh ghat, il ghat principale, e ho persino allungato 10 rupie in più al riksciowala che mi ha dato il resto giusto di sua sponte.
Ho percorso con fatica tutto Bengali Tola, e un signore mi ha aiutato a tirar su la valigia sui tre gradini per salire a Ram Bhavan. Stranamente senza chiedere nulla in cambio! E arrivare là, e sentirsi a casa.


Speravo di trovare Mili, la signora spagnola che era qui anche l’anno scorso ma è partita proprio ieri, che peccato! C’è un ragazzo, Alessandro, che studia sanscrito alla BHU, anche lui di Milano, anche lui alunno della Pieruccini. Siamo un piccolo mondo, noi indologi :)
Sono già andata a salutare Ravi, il padrone del ristorante bengoli che insegna ai bambini di strada e permette loro di andare a scuola. Mi ha detto che quest’anno, anche grazie a Mili che ha messo in piedi un bel progetto, insegna a 64 bambini! E la mia Raghni sta andando a scuola, ed è bravissima. Che gioia! Mi ha raccontato che quest’anno, a causa del monsone praticamente inesistente, i prezzi sono saliti alle stelle (un kilo di patate l’anno scorso costava 5 rupie, adesso 18!!!), e quindi lui usa il ristorante solo per insegnare. Però è molto fiero dei suoi bambini, e mi ha mostrato i registri, le pagelle… Sono stati tutti promossi!
Poi sono andata sui ghat, a salutare la Gangaji, e davvero ho avuto l’impressione di non essere mai partita. Come se questo posto mi appartenesse e io gli appartenessi.


Sono stanca morta. È ora di andare a nanna.


Shubh ratri, buonanotte.


Sò!

Progetto di studio: turismo responsabile

Pubblico il mio progetto di studio da realizzare qui in India, esattamente come l'ho scritto nella lettera di motivazione della borsa di studio, così magari vi è più chiaro quello che combinerò qui.



“INCREDIBLE INDIA!”: ecco il nome della campagna lanciata nel 2007 per promuovere il turismo in quella terra lontana, misteriosa, esotica e affascinante, come vogliono i luoghi comuni che da sempre accompagnano la sua immagine.


La mia intenzione è di partire proprio dall’idea di quell’“Incredible India” per poi potermene discostare visitando, studiando e analizzando le dinamiche del turismo grazie alla borsa di studio offerta dal L. C..


Nel corso della mia carriera accademica mi sono appassionata all’India e alla sua cultura, traendo le fondamenta dai corsi universitari che ho seguito e coltivando questa mia passione giorno dopo giorno, leggendo libri di autori del subcontinente, guardando film di produzione indiana (Bollywood ma non solo), fino a svolgere la mia tesi di Laurea triennale, dal titolo “‘Il mondo è di Dio, il Paese è del re, il potere è di Laksmibai’. La rani di Jhansi in un percorso di traduzione dalla ballata popolare al fumetto e al saggio storico”; elaborato incentrato sullo studio della figura della rani di Jhansi, la regina che combatté contro i britannici durante la rivolta del 1857-58 e che è tutt’ora considerata la Giovanna D’Arco indiana. Nella mia tesi mi sono dedicata, in particolare, alla traduzione di testi in hindi, appartenenti a tre diversi generi letterari. Si tratta di traduzioni di prima mano, e che verranno presto pubblicate dalla Cuem in un volume collettaneo, “Parole dall’India”. I testi da me tradotti e analizzati sono stati reperiti in India, nella zona di Varanasi, dove la rani nacque.


A Varanasi, la città sacra dell’induismo, io stessa ho avuto la possibilità di partecipare ai lavori della Kautilya Society, una ONG che si occupa di includere Varanasi e i suoi ghat, le gradinate che conducono al sacro Gange, nel patrimonio dell’umanità dell’Unesco, oltre che di tutelare il territorio dall’abusivismo edilizio. Nel corso di questa esperienza, dall’8.10.2008 all’8.01.2009, ho avuto modo di conoscere la città e in particolare le Organizzazioni Non Governative che operano al suo interno, prima fra tutte, appunto, la Kautilya Society.


Ho così cominciato ad approfondire la conoscenza della ‘città più antica del mondo’, meta di turisti provenienti da ogni parte del globo. Ora, il turismo, in particolare il cosiddetto “turismo responsabile”[1] è proprio il cuore del progetto che vorrei realizzare grazie alla Vostra borsa di studio.


Si tratta di un argomento che mi è molto caro: il “turismo responsabile”, secondo il mio parere, nella fattispecie indiana dovrebbe mirare alla riscoperta del territorio in un’ottica lontana dai neon degli hotel a cinque stelle con aria condizionata, per avvicinare il viaggiatore alla realtà e alla quotidianità del luogo visitato, offrendogli la possibilità di fruire di servizi e di prodotti locali, tenendo ben presenti le tradizioni, gli usi e i costumi indiani. Il “turismo responsabile” rappresenta così un’importante occasione per stabilire un rapporto diretto con la popolazione e un momento di arricchimento reciproco e che s’inserisce in un quadro assai più ampio. A Varanasi si possono infatti distinguere tre tipi di turismo:


  • turismo religioso
  • turismo da “diporto”
  • turismo culturale


Viene così a crearsi un contesto estremamente eterogeneo: una miriade di templi consacrati a tutte le divinità (sebbene sia Śiva il dio protettore della città), dedicati al culto dei pellegrini indiani, luoghi sovente deprivati della loro sacralità da negozi e attrazioni per turisti stranieri (talvolta hippy nostalgici).  Nel contesto culturale si colloca, invece, la brillante realtà dell’istruzione[2], a partire dall’università Banaras Hindu University -dove avrei la possibilità di seguire lezioni di hindi, cultura indiana e geografia culturale, grazie al significativo appoggio del Prof. Rana P. B. Singh- seguita anche da scuole private, che offrono agli stranieri corsi di differenti livelli sui vari aspetti della civiltà indiana, quali possono essere la lingua, la danza, la musica, lo yoga, ecc.…


In questa mia complessa, ricca e variegata ricerca la Kautilya Society verrebbe di nuovo a rappresentare per me il principale punto di appoggio; si schiera infatti in prima linea nella quotidianità di Varanasi sia dal punto di vista della tutela del territorio, sia dal punto di vista dell’accoglienza. Infatti, con il nome di “Ram Bhavan”, è attiva come guest-house che ospita soprattutto studenti e ricercatori.


Sarebbe inoltre mia intenzione approfondire il rapporto tra la popolazione locale e i turisti: un rapporto -soprattutto nel caso di gitanti stranieri digiuni di ogni conoscenza del mondo indiano- difficile da interpretare, che può sfociare in delusioni o fraintendimenti da parte degli uni e degli altri, e, purtroppo, in imbrogli nei confronti degli ignari viaggiatori, e perfino di eventuali imprenditori desiderosi di sfruttare, a vario titolo, le risorse del luogo.


Come ultima fase della ricerca, desidero confrontare il turismo e i turisti nella città sacra degli hindu con altre simili realtà dell’India, delineandone parallelismi e contrasti, al fine di mettere in luce gli aspetti che possano effettivamente aprire la strada al “turismo responsabile” e , in una prospettiva più generale, fermare quella spirale di luoghi comuni, stereotipi e pregiudizi che affligge -ahimè- l’India di ieri e di oggi.





            Confido che il mio progetto di ricerca si possa realizzare grazie alla borsa di studio del L. C., poiché lo ritengo importante, stimolante e arricchente sia a livello umano sia a livello accademico e professionale; spero inoltre di poter avere la possibilità, nel mio piccolo, di offrire una panoramica sull’India da un punto di vista diverso e, perché no? sulla base di una competenza acquisita sul campo. Una volta ultimato, questo mio progetto potrebbe dare impulso alla stesura di un vademecum per il “turismo responsabile” nell’area di quell’India del Nord che di solito fornisce, all’immaginario collettivo degli stranieri, la visione generale del Paese.


           


            Augurandomi di ricevere presto una Vostra risposta positiva, colgo l’occasione per porgere cordiali saluti.

Sonia








[1] Secondo la definizione dell’AITR, Associazione Italiana Turismo Responsabile, per “turismo responsabile” si intende “il turismo attuato secondo principi di giustizia sociale ed economica e nel pieno rispetto dell’ambiente e delle culture.
Il turismo responsabile riconosce la centralità della comunità locale ospitante e il suo diritto ad essere protagonista nello sviluppo turistico sostenibile e socialmente responsabile del proprio territorio.
Opera favorendo la positiva interazione tra industria del turismo, comunità locali e viaggiatori.”

http://www.aitr.org
[2] Come già accennato prima, qui si rinnova sempre un devoto ricordo alla rani di Jhansi e alla sua lotta contro i britannici.