venerdì 31 ottobre 2008

27 ottobre

Dopo la lezione di oggi è venuta di nuovo Neelu, l’estetista, a farmi la ceretta, cercando di recuperare i casini che aveva combinato l’aguzzina dai tratti cinesi. Per la prima -e ultima- volta nella mia vita, mi sono fatta fare le sopracciglia, con quel metodo strano con il filo… Un male boiaaaa! Poi mi ha fatto la ceretta, ed era spaventatissima perché vedeva che ho la pelle molto delicata, mentre io ero tranquillissima! Non sono proprio abituati qui alla pelle chiara e così sensibile.
Nel pomeriggio io e le solite due :) siamo partite alla ricerca delle scarpe da mettere con la sari, impresa che si è rivelata moooolto più difficile del previsto! In ogni negozio/bancarella in cui entravamo inizialmente ci facevano vedere sabot paillettati che neanche per il carnevale di Rio.
Quando capivano che non ci piaceva il genere, acchiappavano il sandalo più tedesco e agghiacciante che avessero e cominciavano a piegarne la suola, esclamando con entusiasmo: “This is very confortable, sister, very confortable!!!” Saranno pure comodi, ma di andare in giro con quei “bobi” come li chiama la nonna, non se ne parla proprio! Comunque ecco a voi degli splendidi esemplari. Dopo aver scattato la foto ho spiegato al dukandar, evidentemente compiaciuto, che le scarpe erano così belle che volevo fare una foto. Che ridereeee!
Per fortuna sono riuscita a trovare degli infradito addirittura carini, anche se costavano addirittura 250 rupie (meno di 4 euro). Quindi volevo scendere a 200, considerato anche che mancava un brillantino, che ho dovuto riattaccare io perché ho le mani più piccole, ma lui non era molto d’accordo. Ho cominciato a chiacchierare con il dukandar, mentre sono le mie gambe passavano i topolini, e ovviamente mi ha chiesto se sono sposata. Ho esibito con un certo orgoglio il mio anello sull’anulare sinistro a prova del mio matrimonio, e poi la conversazione si è svolta così:
Dukandar: Ma dov’è tuo marito?
Sò: In Italia!
D.: Ah, l’hai lasciato da solo?
S.: Eh sì, lui deve lavorare!
D.: Che lavoro fa?
S.: è un businessman, lui!
D.: In che campo?
S.: (ma questo i cavoli suoi…) Eeeeeeh… eeeeehm… Si occupa di macchine!
D.: Ah però! Allora dovresti darmi 250 rupie, non 200! Sarete sicuramente ricchi!
S.: Eeeeeh, ma lui è famoso (mi ricordavo questa parola in hindi, quindi ce l’ho messa dentro) ma non ricco… Sa com’è, siamo ancora agli inizi!!!
Non so come io abbia fatto a raccontare tutte ‘ste balle senza ridere, fatto sta che è stato divertente!
In serata siamo andate a mangiare al ristorante mongolo, pollo tandoori e patatine fritte, con il cameriere che aveva fretta e che ci tirava via il piatto mentre stavamo mangiando! Non abbiamo assaggiato i succulenti antipasti, cioè questi nella foto solo per non guastarci l’appetito con cotanta bontà!
Devo dire che andare in giro con l’hennè è bellissimo: le donne mi fermano ammirate, chiedendomi chi me l’ha fatto e facendomi i complimenti, per poi addirittura baciarmi il palmo! Stamattina ero seduta su un muretto a chiacchierare con un dukandar che vive in Spagna e c’era la processione a vedere le mie mani, incredibile! Dopo un po’ ho cominciato a fare l’indiana d’India e a dire a tutti quelli che volevano guardare: “10 rupie!”. Il dukandar mi ha guardata divertito, visto che ho capito perfettamente come funziona qui!Che meraviglia, domani è Divali, non vedo l’ora!
Baciugi e soprattutto...
Shubh Divali a tutti,
Sò!

26 ottobre

Dura giornata di shopping, oggi! Del resto, non posso certo mancare ai doveri e alle tradizioni autoctone! Quindi, nel pomeriggio io, Michy e Cri siamo andate con Mangla alla ricerca delle cavigliere, ma non c’era nulla che ci interessasse. Mentre tornavamo a casa in autoriksciò, ci siamo fermate in una gioielleria e ho trovato le cavigliere dei miei sogni, queste:
Non sono bellissimissime e troppo da Sò???
Sulla strada del ritorno ho strappato all’autoriksciòvala la promessa che quando andremo a Ramnagar dalla famiglia di Mangla mi farà provare a guidare. Ovviamente l’autoriksciòvala è un parente di Mangla, ormai conosciamo tutti i suoi parenti e amici, perché c’è quello che vende seta, quello che vende le sari, chi fa il gioielliere, chi vende il chai (tè)… A proposito di chai… mentre aspettavamo che arrivasse il gioielliere, ci siamo fermate a berne uno per strada, da un nipote della nostra cuoca. Che più che un chaivala (dove il suffisso -vala, o -wala, -walla, indica chi vende, fa o produce una certa cosa, tipo: “riksciòvala” è colui che porta il risciò) pareva un “moscavala”,vista la quantità di mosche che giravano… Che schifo! La Cri era talmente entusiasta di bere il suo tè che ad un certo punto dal cielo è arrivata la salvezza: un piccione ha sganciato una cacata direttamente nel suo bicchiere, con una mira impressionante ché manco Guglielmo Tell!
Comunque tutto bene, a parte questo episodio e il tentativo di tradimento da parte della Michy, che sembrava molto vicina al riksciòvala… Povero Prakash, il promettente chaivala delle viette di Varanasi, che ormai si scartavetra i denti per farli sembrare più bianchi, visto l’apprezzamento da parte della Michy… Non importa se, come tutti gli indiani, si vesta in maniera ignobile e tutte le mattine si faccia leccare sapientemente i capelli da ogni vacca che incontra nel suo percorso casa-lavoro (sempre che abbia una casa e non dorma dietro il banchetto). Cotanta beltà è equamente distribuita in un metro e mezzo di altezza (di bassezza, più che altro), praticamente sopra la norma! Questo è il tipico ragazzo di Varanasi, se escludiamo i denti bianchi, visto che qui a furia di masticare il paan (un miscuglio rosso a base di betel, noce moscata ed erbe digestive) hanno tutti i denti rossi e completamente rovinati. Per di più si ostinano a parlare con ‘sto pastrocchio in bocca e poi si domandano perché non li capisci! Quindi, amiche mie, non vi consiglio l’India come luogo per incontrare l’uomo dei propri sogni. Anche se la domenica sul giornale ci sono gli annunci matrimoniali, e in giro per le strade ogni tanto si vedono le insegne di “arrangiatori di matrimonio”.
Arrivate finalmente a casa, c’era Neelu, la ragazza che avevamo chiamato per farci fare l’hennè che ci aspettava da più di due ore, povera bimba. Ci siamo fatte fare l’hennè su mani e braccia (a metà), c’ha impiegato un’ora per ciascuna! È stato un salasso, abbiamo pagato 150 rupie ciascuna, poco più di 2 euro!!! Ma le abbiamo lasciato una mancia di 50 rupie in tre, visto che l’avevamo fatta aspettare così tanto! È stato molto rilassante, anche se poi abbiamo dovuto aspettare 4 ore per toglierlo… Per fortuna Mangla ha pensato a noi e ci ha fatto il riso e le patatine fritte, e ogni tanto le insaporivo con i pezzetti di hennè secco che cadevano. Che puzza, tra l’altro! Però una volta tolto tutto è davvero moooolto bello da vedere!



Adesso vado a nanna, e vedremo domani cosa mi sembrerà svegliarmi con le mani marroncine! ;o)
Notte,
Sò!

25 ottobre



Sono quasi due giorni che non funziona internet, cheppalle! Finalmente ieri sono andata a ritirare il mio completo-specchietti-per-le-allodole pronto, a cui ho fatto cucire un nastro per farci il fiocco. Della serie “perché la Sò vuole passare inosservata”, eccolo in anteprima per voi:

Poi ho fatto altri acquisti importanti, tipo i braccialetti (quelli verdi alla fine li ho dovuti spaccare, per toglierli), i bindi (l’ornamento che si mette sulla fronte), Io c’ho impiegato tre ore a sceglierlo, strano, eh? Alla fine ho optato per uno “leggermente” vistoso, ma molto bello. Inoltre, ho fatto incetta, come al solito, di caramelle per i bimbi. Ormai quelli che abitano qui vicino mi conoscono e cominciano a chiamarmi da lontano “Sonia didiiiii!”. Ho fatto amicizia anche con qualche vicina di casa. Con le donne è un po’ più difficile rapportarsi, perché sono piuttosto diffidenti, e spesso non vedono di buon occhio le
straniere. Però se vedono che giochi con i loro bambini, che regali loro le caramelle sono contente, e quando poi scoprono che parli che parli hindi, basta: è fatta! Per altro, la maglietta con l’alfabeto devanagari (letteralmente “della città degli dei”, ovvero l’alfabeto della lingua hindi) da 20 rupie, è un ottimo mezzo per fare amicizia: è capitato un tre volte che delle signore che conosco -seppur poco- cominciassero a leggere l’alfabeto, avendo ben cura di toccare tutte le lettere!
Certo, mi sconcerta molto di più vedere gli uomini che se ne vanno in giro mano nella mano, con le dita intrecciate. Questo per amicizia, okay. Ma Mili ci ha raccontato addirittura che spesso qui la repressione sessuale è talmente esasperata, e l’ipocrisia della società talmente radicata, che spesso le prime esperienze sessuali degli uomini sono con altri uomini. E non perché sono necessariamente gay, ma perché evidentemente vale la legge del “ndo cojo cojo”.
Cambiando discorso, oggi Raju si è complimentato con me, perché, oltre ad aver fatto bene le traduzioni, ho parlato tanto senza fare troppi errori. È l’unica persona che è contenta del fatto che io chiacchieri così tanto e volentieri!
Nel pomeriggio, io, Michy e Cri siamo andate a ritirare le nostre blouse (cioè il top della sari) dal sarto. Che ridere, la forma ricorda molto quella dei reggiseni di Madonna nel video di “Like a Virgin”, sono obbrobriosi! Per di più lasciano la panza completamente scoperta!
Il padrone del negozio di sari, tra un “I’ll tell you sister” (“ti dirò sorella”, dove “sorella” sarebbe il corrispettivo inglese di “didi”, sarebbe!) e l’altro, ha consigliato a tutte e tre di comprare i braccialetti (indispensabili con la sari) “maroon”, cioè bordeaux. Ma ovviamente di comprarli dal suo amico, che ce li ha più belli, più resistenti, più economici e più luccicosi del mondo. Se fosse per lui dovremmo comprare lo stock di braccialetti maroon! Ché poi sono strani gli indiani. Loro non hanno certo problemi di accostamento di colori o di abbinamenti: le donne comprano un pezzo enorme di stoffa per farci la sari e viene fuori anche la blouse, oppure ci fanno il salwar kamiz con la dupatta (sciarpa), non come noi che dobbiamo abbinare maglietta, pantalone, maglione, giacca ecc. ecc… C’è qualcuna, poi, che deve abbinare persino le calze e le mutande, ma lasciamo perdere.
L’evento del giorno è stato il ritorno trionfale di Pasto, che resterà con noi fino al giorno dopo Divali, la festa delle luci e dei colori, che sarà il 28. Mangla è emozionata e non fa altro che accompagnarci a prendere braccialetti, cavigliere, bindi e quant’altro, perché a Divali bisogna indossare vestiti e ornamenti nuovi. Per cui mi toccherà sacrificarmi, non vorrei mancare di rispetto agli indiani e delle loro tradizioni! Comunque stiamo stilando una lista dei posti dove ci deve portare Pasto, i cosiddetti “Fausto’s Duties”, lista che è stata compilata alla luce di una torcia elettrica in un ristorante vicino all’Assi ghat, gestito da un’italiana e un nepalese. Abbiamo mangiato quattro tipi di pasta, di cui una all’arrabbiata “un po’ saporita”, per dirla come Michela; ovvero mooolto piccante. Poi mi prendono in giro perché appena comincio a mangiare qualcosa di un po’ speziato comincia a colarmi il naso. Tra l'altro, ormai non solo mi sono abituata a mangiare piccante, ma persino la cipolla e l'aglio, che normalmente non posso neanche vedere!
Al ritorno, invece di andare in risciò, siamo tornati a piedi lungo i ghat, una passeggiata sul lungo Gange, molto suggestivo. E ora sono di nuovo a casa.
Sò!

giovedì 30 ottobre 2008

23 ottobre

Che giornatina piena oggi! Dopo una lezione di hindi molto interessante, nel corso della quale il nostro Raju si è dimostrato un facinoroso che ha valorosamente combattuto contro il vicino di casa eroinamone, eufemismo per dire che l’ha saccagnato di botte, e che ha addirittura annunciato alla Michy e alla Cri che probabilmente domani non farà lezione perché sarà in prigione per aver picchiato questo tizio!
Stavo pensando oggi che ormai andare in giro per le viette qui intorno è impegnativo, si tratta tutto di un lavoro di pubbliche relazioni, visto che bene o male mi conoscono tutti e mi salutano tutti, e ovviamente ricambio con piacere. C’è la didi (letteralmente “sorella maggiore”, è un termine con cui ci si rivolge alle donne piuttosto giovani; poi c’è chachi, “zia”, e dadi, nonna) di fronte a casa, che vende generi alimentari e non (i supermercati indiani, ovvero una persona dietro un tavolo e attorno millemila cose che, prima di consegnarle al cliente, spolverano accuratamente con uno straccio), e che quando ci vede sorride perché sa che compreremo qualcosa -preferibilmente dolci-. Poi c’è la signora piccolina con la mamma/suocera che mi salutano sempre, e che oggi hanno sorriso compiaciute quando ho risposto “namasté didi, namasté dadi!”, e poi ci sono tutti i dukandar di vestiti, che dovrebbero ormai baciare la terra dove cammino! Ci sono i bambini, quelli che camminano mezzi nudi e scalzi e quelli tutti precisi con la cartella e la divisa della scuola, ai quali distribuisco caramelle. Il categorico divieto di non accettare caramelle dagli sconosciuti, qui non vale. Ci sono i soliti rompiballe, ma a quelli basta rispondere male, come ho già scritto in precedenza.
Ci sono i motociclisti, che a malapena passano per le viuzze strette, ma che strombazzano senza remori, sulle loro moto Here Honda con targa firmata “I love God”, con gli specchietti inarcati verso l’interno e con almeno un passeggero a bordo (ma anche due, o tre. La Cri racconta di una moto che portava cinque persone), le donne sedute all’amazzone. Ci sono le bici, che passano scampanellando per farsi largo tra la folla. Ci sono i baba vestiti d’arancione che camminano con il bastone. Ci sono gli autorisciò (ovvero gli apecar adibiti a taxi) che bloccano il traffico (pedonale, ça va sans dire). Ci sono le vacche, i bufali, i tori, che passeggiano indisturbati nei vicoletti. Ci sono, infine, protagoniste della strada, le buasce, quelle cacate di vacca enormi tra le quali bisogna fare la gimkana. E considerate che qui molti, moltissimi indiani, vanno in giro scalzi.
Nel pomeriggio, sono andata con la Silvia e altri ragazzi argentini all’università, la BHU, una delle più grandi dell’India. Dopo tutti questi giorni, ho finalmente visto dei prati, alberi, del verde, insomma. Che emozione! C’erano pavoni reali, scoiattoli e altri animaletti carini che gironzolavano tranquilli per i giardini.
Mancavano le scimmie, ma abbiamo ampliamente recuperato facendo tappa al “Monkey temple”, dedicato ad Hanuman, il dio-scimmia che, insieme al suo esercito, ha aiutato Ram (avatar, ovvero manifestazione terrena di Vishnu) a sconfiggere il demone Ravana -il quale aveva rapito Sita, sposa dell’eroe- e a riconquistare Lanka (l’isola dello Sri Lanka, appunto). Tutto questo è narrato nel Ramayana, uno dei testi più importanti per gli hindu. Comunque, dicevo: “monkey temple”: un bel posticino, assolutamente degno di tal nome vista la quantità inaudita di esemplari. L’ingresso nel tempio è possibile solo a piedi nudi, solo che si scivola amabilmente e bisogna stare super attenti a non cadere! Poi siamo tornati in autoriksciò, in quattro, e durante il tragitto ho suonato lo djambé insieme a Vinod, nepalese, mentre la Silvia faceva tintinnare i sonaglietti, probabilmente un giocattolo per le scimmie.
Dopo aver comprato al volo un paio di infradito nuove, visto che le mie mi avevano appena abbandonato nel bel mezzo del cammino di Godolya, abbiamo assistito al saluto al sole sul ghat principale, uno spettacolo estremamente emozionante, che non avevo ancora visto. Uno dei brahmani che presiedevano il rito muoveva le mani in maniera incantevole, e poi tutte quelle candele che splendevano nel buio sulla riva della Ganga…

http://it.youtube.com/watch?v=UQY2ov8CsFc
E poi siamo tornate a casa e io finalmente ho avuto l’ottima notizia: il manager mi ha procurato una sim indiana! Menomale, dal momento che ho portato due sim italiane e non ne funziona nessuna!
A cena siamo andate a mangiare alla solita pizzeria sull’Assi ghat, e, mentre ero sul risciò, mi sono quasi emozionata vedendo un cartello blu che indicava il luogo di nascita della mia amata rani di Jhansi. Ci devo andare, uno di questi giorni.
Buonanotte,
Sò!

domenica 26 ottobre 2008

22 ottobre 2008

Lo so, sono senza ritegno. Ma è da quando sono qui che ogni volta che vedo quelle gonne tutte piene di specchietti e di sbarluccichi mi vengono gli occhi a cuoricino. Quindi oggi sono entrata e ho chiesto il prezzo e blablabla. Ovviamente mi sono seduta e ho cominciato a raccontare da dove vengo, cosa ci faccio qui, se sono sposata, dov’è mio marito, se ho figli… Insomma, le tipiche cose che si chiedono anche in Italia ad una ragazza della mia età. Ehm. In ogni caso io dico sempre di essere sposata, per evitare casini e così via. Anche se penseranno che sono una moglie degenere, ma insomma, sempre meglio che zitella, no? Poi è arrivato anche il papà del negoziante, che ha un altro negozio quasi attaccato. Le conversazioni con gli indiani iniziano tutte così:
Indiano: Ver are you from? (Da dove vieni, e mi raccomando l’accento indiano!)
Sò: Dall’Italia!
Ind: Ooooooh, woooooow, come il nostro primo ministro, Sonia Gandhi!!!! Oooooh che brava che è, la amiamo tutti!
Sò: Sì sì, e anch’io mi chiamo Sonia!
Ind: Noooooo, non ci credooooo! Davvero???? Oooooh che meraviglia!!!
Bè, preamboli a parte, il fatto di parlare hindi mi apre davvero tante, tantissime porte. Innanzitutto non è affatto vero che tutti gli indiani parlano inglese. Provate a intavolare una conversazione in inglese con qualche dukandar (negoziante) di generi alimentari e non e poi mi riferite. Non vale se l’indiano in questione sorrideva conciliante e ciondolava il capo dicendo “yes”, anzi: quello è il chiaro sintomo che non ha capito ‘na mazza. E poi funziona con i rompiballe che ci sono sulla strada principale, che offrono di tutto, dai risciò ai punjabi dress alla marijuana, e che asseriscono di conoscerti da tempo. Ormai li guardo minacciosa e intimo “Juth mat bolie!” (non dire bugie!), come mi ha insegnato Raju, e loro scappano terrorizzati.
Comunque stavo raccontando della gonna. A parte il fatto che il dukandar mi ha proposto uno sconto nel caso avessi comprato due completi, uno per me e uno per una mia amica. Gli ho risposto che sono solo io la fuori di testa che ha il coraggio di mettersi un completo simile. Ho provato la parte sopra, il top, ma era troppo piccolo. No problem, mi ha rassicurato il dukandar: faccio un taglio qui, attacco un pezzo qua e sarà perfetto. Altro che chiamare fornitori! Qui basta andare dal sarto a due negozi di distanza e far sistemare tutto a lui.
Ah, oggi Raju mi prendeva in giro perché quando sbadiglio faccio casino perché mi scatta la mascella, e mi ci vogliono almeno tre riprese da una decina di sbadigli l’una affinché si rimetta al suo posto (tra l’altro, scriverne mi fa sbadigliare ancora di più!). Per vendicarmi allora, mentre traducevo una delle solite frasi riguardo a Mangla che cucina pollo, ho aggiunto di mia sponte che io preferisco la carne bovina. Lui ha strabuzzato gli occhi e mi ha guardata sconvolto: “Perché, tu mangi carne di mucca?????”. “Zarur! Certo!” ho esclamato io, e ho cominciato a decantare le lodi della carne bovina e a raccontare quanto io abbia voglia di una bella fiorentina all’osso… Che poi, così mi faccio più male io: oggi pensavo che avrei tanta voglia di gianduiotti… e poi di prosciutto e mozzarella. E di focaccia, magari di Recco. Un’utopia. Un sogno, anzi. E allora lasciatemi sognare per davvero, paradisi di salsicce, laghi di Lambrusco, distese di lasagne, montagne di profiterole. Continuiamo così, facciamoci del male!
Eddai, ora vado a nanna per davvero, ché domani mi ha detto Raju che devo avere tanta, tantissima forza ed energia per la lezione, quindi mi sveglierò presto e ripasserò tutto. Uh che brava tusa! Poi stasera io e la Michy abbiamo sperimentato sulla nostra pelle (è proprio il caso di dirlo!) la maschera all’argilla indiana, molto probabilmente del Gange, che Mangla ci ha presentato come una pozione miracolosa contro i brufoli, che qui, tra spezie, inquinamento, caldo e altre schifezze varie, fioriscono che è un piacere.

21 ottobre 2008

Stamattina mi sono svegliata con un mal di testa terribile, che solo san Paracetamolo è riuscito a sconfiggere. In ogni caso non sono riuscita ad andare da Raju: mi sono messa a letto con la sciarpa legata strettissima in fronte. C’è di buono che lo squarao è passato, anche se ieri eravamo tutte (e per tutte dico io, Michela, Cristina e Silvia) debolucce. Un ottimo motivo per andare a far merenda al Lotus, con vista sulla Ganga, dove ho mangiato la macedonia, accompagnata da un ottimo ginger-honey-lemon, a proposito: devo comprare lo zenzero e il miele (e qui non c’è il miele di fiori d’arancio, anche se, chissà, potrei chiedere a Nawal…) così lo faccio a casa. Invece la Silvia, poraccia, ha la febbre. Ormai a Ram Bhavan siamo rimaste in cinque: noi italiane e Mili, la signora spagnola che parla millemila lingue .
Aaaaah! Dimenticavo l’evento di ieri: l’appuntamento dal sarto per fare la blouse, ovvero il top da mettere sotto la sari. Ha cominciato a prendere misure: seno, vita, maniche… Ma il momento più esilarante è stato per la scollatura: 7 cm, 7 e mezzo… Abbiamo provato ad accennare ad un 8, ma ci ha guardate inorridito, un po’ come l’estetista quando le avevo chiesto la ceretta all’inguine. A proposito: quando ho raccontato a Raju della mia rocambolesca avventura dall’estetista mi ha guardato stupito perché in fondo in India si sta sempre coperte, per cui a che pro depilarsi??? Più che altro sono dell’opinione che qui in giro ci siano già troppe scimmie, ecco. perché
Stasera io, Michela e Cristina abbiamo fatto il passato di verdure, anche se abbiamo rischiato che il risultato non fosse 100% vegetariano, come indica il pallino verde sulle confezioni di cibo. Infatti, siccome non bastavano scimmie, vespe, geki ben pasciuti, scoiattoli ed insetti di ogni specie, colore e dimensione, la fauna locale di Ram Bhavan si è arricchita di nuovi elementi: i topi!!!! Il primo avvistamento è avvenuto alle 18.15, ora locale, da parte di Cristina, che ho scoperto il roditore mentre se la spassava allegramente e saltellava sul suo letto. In seguito, gli esemplari sono stati avvistati anche tra le piante, e in cucina: due di loro erano impegnati in un inseguimento mozzafiato, mentre Mangla li osservava e rideva a crepapelle ed esclamava: “Ahahah, guarda come si rincorrono! Saranno sicuramente un maschio e una femmina, ahahahah!”.
Dicono che ora che comincia a fare meno caldo ne usciranno a bizzeffe. Uh che gioia!
Del resto, sui tetti di Varanasi ci sono solo scimmie, e si sa: quando i gatti non ci sono, i topi ballano!
Con questa pirla di saggezza passo e chiudo.
Sò!

19 ottobre 2008

Finalmente (?) è arrivato il temuto e temibile squarao time!
Dev’essere stata l’emozione per aver finalmente mangiato della carne rossa, montone, che ci ha preparato Mangla con tanto amore, fatto sta che ho passato la giornata sulla tazza. Per tamponare ho bevuto il celeberrimo nimbu pani, (ormai soprannominato Nimbupan, che sembra tanto il nome di una medicina) l’acqua col limone (per favore) che qui è particolarmente amata, e si beve con un po’ di zucchero e un pizzico di sale, anche il sale nero (che cioè, io non sapevo neanche esistesse!!! E comunque dev’essere una qualità particolarmente ricercata). È deliziosa e con la scusa dello squarao ne bevo a litri. Oggi, non ho fatto assolutamente niente, se non dormire e farmi fare i massaggi da Mangla, a, e bere un infuso di tè al Monalisa, pagato 5 rupie, mamma mia, è che ora che mi hanno cambiato la camera, ed è più grande, con il letto a una piazza e mezza, una scrivania degna di tal nome e addirittura due armadi a muro, con tanto di terrazza, pago addirittura 350 rupie al giorno (colazione e pranzo e atmosfera familiare comprese) mi toccherà andare a chiedere la carità oppure a vendere cartoline sui ghat!!!
Dai, basta dir scemate, vado a nanna.
A domani,
Sò!
P.s. : oggi abbiamo trovato un negozio nuovo, che vende un sacco di cosine carine di legno. L’oggetto in assoluto più assurdo e incredibile è questo:


l’anima russa mi perseguita anche qui!!!




18 ottobre 2008



Ieri notte siamo tornati alle 3.45, con somma gioia -ehm- di Mangla che a momenti ci aspettava con il mattarello in mano.
Come previsto, siamo andati all’Assi ghat, dove ci siamo ritrovati nel bel mezzo di un’invasione di cavallette. Che ovviamente facevano festa, con tutte le luci accese! (poi non importa che nelle case la corrente vada via per svariate ore, sono dettagli!) Abbiamo mangiato una pizza commestibile e una torta di mele con gelato alla vaniglia deliziosa. Io ho bevuto lemon soda, che non è la roba chimica che vendono da noi: è proprio succo di limone con soda, che buono! Poi che ridere, sono andata in bagno e qui non si usa la carta igienica: in genere c’è una turca e un rubinetto basso vicino con un contenitore di bronzo per potersi sciacquare una volta finiti i propri bisognini. Siccome il rubinetto perdeva, ho intelligentemente pensato di chiuderlo, ma ha cominciato a schizzare ovunque e io mi sono ritrovata bagnata fradicia.
Finito di mangiare, ci siamo seduti sui ghat ad assistere ad un festival kitchissimo, evidentemente molto popolare a Varanasi, e abbiamo potuto seguire una performance molto bucolica, con musica indiana-yodel e capretta tra gli spettatori. Mancava giusto Heidi! (ecco a voi un assaggio:




Poi la Silvia ha cominciato a giocare con dei cagnolini cuccioli che c’erano lì, tutti pelle ed ossa. È incredibile come qui tutti i cani siano uguali, scheletrici, beige chiaro, quasi senza pelo. Molti stanno al calduccio sotto i fornelli dei negozi di dolcetti. Tutti passano il tempo a grattarsi, chissà quante pulci, zecche ecc ecc… altro che Frontline!
Poi siamo finalmente andati alla festa, eravamo in 7 su una Peugeut bianca, e ci sentivamo addirittura comodi, abituati come siamo ai risciò!
Eravamo una quindicina in tutto alla festa, con Nawal a presiedere e a rimarcare il proprio ruolo, tra svariate bottiglie di alcool sul tappeto. Non bevevo birra da quando ero in Italia, qui non la servono neanche al ristorante, per non parlare del vino!
Un amico di Pasto di cui non ricordo assolutamente il nome ballava nel suo Bollywood style, una ragazza equadoregna ci insegnava i passi di ballo latinoamericano e io mi esibivo nella danza della panza.
La festa è stata carina, poi alle 3 siamo andati alla ricerca di un risciò, ma ce n’era solo uno in giro e sarebbe stato assurdo pensare di starci in quattro (io, la Michy, la Cri e la Silvia, mentre Pasto e Dinita tornavano in motorino), anche se il riksciòwalla ci stava provando, a portarci. Trovato il secondo risciò abbiamo attraversato una Varanasi deserta, quasi una città fantasma, desolata, inquietante. Sotto i cancelli dei negozi (qui non ci sono molte saracinesche) si ammassavano uomini e donne addormentati. Un baba rubava il borsone-cuscino da sotto la testa di un uomo che russava. I cani giacevano in mezzo alla strada, a fianco di vacche, tori e bufali. Qualche bottega di paan (un insieme di erbe digestive e tabacco che qui masticano continuamente, e poi sputano, lasciando delle grosse chiazze rosse per terra) era ancora aperta, però, e addirittura c’erano crocchi di adulti e bambini che raccoglievano mattoni. Era incredibile vedere Godolya, una delle rotonde più trafficate, caotiche, babeliche e pericolose, completamente vuota, silenziosa, buia. Sembrava quasi di essere in un film western.
Aveva ragione Pasto quando diceva che qui a Varanasi non esistono vie di mezzo: è una terra di dicotomie, contrasti, molto più di qualsiasi altro posto dell’India, dove la vita e la morte sono così vicini, e matrimoni e funerali si celebrano a pochi passi di distanza l’uno dall’altro. Dove si va per fare un pellegrinaggio e si spera di morire cremati sulle sponde della sacra Ganga (il Gange, così come tutti i fiumi indiani, è considerato una divinità e, a parte rari casi, si tratta di divinità femminili) per potersi meritare direttamente il moksha, la liberazione dal ciclo di morti e rinascite che è il samsara.

Stanotte per di più, ho dormito pochissimo, perché in questi giorni mi hanno trasferito nel dormitorio al primo piano, e qui alle 7 cominciano a gridare, a suonare, poi c’è il baba che comincia a cantare… Fatto sta che mi sono alzata con la luna storta. Poi sono andata a lezione da Raju e poi ho fatto il riposino.
Per oggi è quanto.
Sò!

sabato 25 ottobre 2008

17 ottobre 2008

stamattina ho fatto una fatica terribile ad alzarmi, non stavo affatto bene e da Raju ho fatto una figura ignobile! Per fortuna che lui è molto comprensivo e soprattutto, menomale che da domani potrò andare alle 11!
Oggi sono finalmente andata a ritirare la mia sari (in hindi, in genere, i sostantivi che terminano in "i" sono femminili) pronta e stupenda con le pietruzze rosso magenta, ora mi manca solo di fare il top da mettere sotto, ma per quello dobbiamo passare tra qualche giorno che il padrone del negozio ci porta dal sarto.
In compenso, ieri ho comprato una sari di seta leggera per l’esosa cifra di 350 rupie (poco più di sei euro) e mi sono fatta fare un completo veramente bellissimo, con tunichetta e pantaloni Ali Baba. Purtroppo non c’era abbastanza stoffa per fare la dupatta, la sciarpetta. Altro che produzione in serie: qui tutto è fatto a mano, nei negozi ci sono gli omini con le macchine da cucire, delle vecchie Singer con il pianale di legno e il pedale. È così poetico! Non esistono le taglie, si prova quello che c’è in negozio e se non va bene/vuoi un altro colore/un altro modello, te lo fanno per il giorno dopo. E pensare che in Italia solo per un orlo ai pantaloni ti fanno pagare un occhio della testa!
Comunque il completo lo metto stasera: con Pasto e Dinita, la sua morosa, andiamo alla festa di Nawal, probabilmente uno degli uomini più ricchi (nonché potenti e influenti) di Varanasi. La Michy e la Cri sono andate nel suo negozio e hanno detto che c’è veramente di tutto, e anche Pasto ha detto che se abbiamo bisogno di qualsiasi cosa dall’Italia lui può procurarcela. Io pensavo di sfidarlo a farmi mandare i pangocciolì!
Ora esco, insieme alle ragazze, ad Amarnath (il factorum) e la sua nipotina Soni, andiamo a un festival sull’Assi ghat e magari a mangiarci una pizza. E poi andremo alla festa. Non riesco a crederci, una festa!!!!
A domani,
So!

16 ottobre 2008

Ormai io, la Michela e la Cristina stiamo diventando le principali acquirenti dei cosiddetti pantaloni Ali Baba, larghissimissimissimi e il massimo della comodità. Altro che jeans, pantaloni risucchiati e a vita bassa (eh, mamma?)! Ora ho capito perché quando vanno in bagno non usano la carta igienica e si sciacquano direttamente con l’acqua: tanto se si sporcano o si bagnano non se ne accorge nessuno!
Stasera siamo andati in un ristorante moghul, mughal, oh insomma, mongolo! E abbiamo mangiato carne! Ormai è quasi un miraggio, dopo più di una settimana passata a cibarmi di riso-pane-verdure (in particolare patate)!!! Abbiamo mangiato molto bene, per salutare Ariele che domani parte. Mi dispiace, è davvero un ragazzo simpaticissimo!
Ieri, poi, è arrivata Silvia, un’altra ragazza di mediazione. Diciamo che la colonia italiana qui a Ram Bhavan è sempre numerosa e poderosa!
Ho conosciuto i bambini che abitano qui intorno, è bellissimo vederli giocare, buttarsi nella sabbia, correre e rincorrersi per le strade, sporcarsi. Altro che i bambini italiani! Mi ricordo che quando lavoravo alla scuola elementare, alle 4.30 c’era sempre qualche mamma che si arrabbiava con il figlio che si era sporcato giocando a pallone e che lo rimproverava per aver infangato le preziosissime scarpe nuove della Nike. Ma dai, io da piccola avevo le Superga tarocche e la tuta con i pantaloni con l’elastico in fondo con i Power Rangers!!!
Mi hanno circondata e mi hanno accompagnata nel cortile di casa loro, una sorta di casa di corte indiana, ma i genitori dei bimbi mi hanno cacciato fuori inorriditi, ci mancava giusto che mi dicessero “Sciò, sciò, pussa via!” che neanche con le scimmie sono così inospitali!
Ah, poi oggi sono andata a comprare i braccialetti, da una vecchina per strada. malmostosa da matti, proprio! Mi sono seduta nella tipica postura indiana, che consiste nell’accovacciarsi come se si fosse su una turca (dev’essere abitudine, qui non usano il water ma, appunto, la turca), ma dopo un po’ mi sono stufata e mi sono seduta come gli altri indiani: quelli d’America, cioè a gambe incrociate, occupando i tre quarti del passaggio con il mio culone (a proposito: chi l’ha detto che in India si dimagrisce??? Io qui sto ingrassando, e mi sto pure riempiendo di brufoli causa spezie). Come mio solito, ho impiegato parecchio tempo per scegliere cosa comprare, e alla fine ho optato per tre dozzine di braccialetti di vetro(60 rupie in tutto): una dozzina rossa, una verde e una nera con decorazioni bianche e rosse. La vecchina malefica mi ha fatto togliere i bellissimi braccialetti colorati comprati il secondo giorno e mi ha vietato categoricamente di riprendermeli, e quando c’ho provato mi ha fatto una faccia schifatissima. Da quanto ho capito, porta sfortuna. Il problema è che mi ha messo i braccialetti verdi. E non so come abbia fatto ad infilarmeli, visto che ora non escono più! E non è che non escono più perché ho caldo, o le mani gonfie. No, non funziona neanche il sapone, è assurdo! Farò come le donne-giraffa in Africa, crescerò con questi bracciali al polso e quando me li toglieranno (o meglio: taglieranno o spaccheranno, qui non esiste altra soluzione!) sembrerò un’invertebrata. È che la pratica della rottura dei braccialetti mi rimanda al rito che veniva compiuto nei confronti delle vedove: infatti, la polvere rossa nella scriminatura dei capelli, il medaglione, il bindi (il puntino sulla fronte, il cosiddetto “terzo occhio”) (a proposito: per ridere un po’ guardate questo video,


http://it.youtube.com/watch?v=002AY4cb5uw

è una pubblicità indiana che io trovo geniale!) e i braccialetti di vetro colorati, appunto, sono gli ornamenti simbolo della donna sposata. E quando il marito moriva, tutti questi simboli le venivano brutalmente strappati dalle préfiche. Ora la situazione è diversa, grazie al cielo.
Ora vado a nanna, ché siamo tornati “tardi” per gli standard indiani! (Mamma, vedi che non è che io torno a casa tardi a prescindere? ;o) ) A mezzanotte! Ci sentivamo delle cenerentole, con Mangla che ci ha rimproverato perché eravamo in ritardo! Del resto qui la sera non c’è nulla da fare, e comunque il sole tramonta alle 17.30, per cui bisognerebbe andare a dormire presto e alzarsi presto. Sì sì, certo, contateci.


Sò!

martedì 21 ottobre 2008

14 ottobre 2008 - Lezione n°1: dall'estetista



Era un po’ che dicevo di voler andare dall’estetista per fare la ceretta. Così stamattina, quando ho sentito Mili (una signora spagnola che sta qui a Ram Bhavan e che viene a Varanasi tutti gli anni per almeno sei mesi) proporre a Raji, un’altra ospite, di andare al “beauty parlour” per fare il buco al naso, ho preso la palla al balzo. Mi sono fatta spiegare bene dove si trovava, e sono partita innanzitutto alla ricerca del risciò. Siccome sono una turista, per lo più occidentale, i prezzi sono sempre più alti del dovuto. Così bisogna alzare la voce, far vedere che sono bionda sì, ma parlo hindi e non mi freghi mica. Tiè.
Salita su un risciò ho sentenziato con aria decisa e perentoria: 15 rupie! Quello c’ha provato a dire 20 rupie, ma niente da fare. Quando gli ho detto che parlo hindi ha cominciato a chiacchierare, a raccontarmi della sua famiglia, della sua casa. Mi rendo conto che trasportare fino a tre persone con due, tre bambini, su un carretto barcollante in mezzo al traffico è probabilmente tra i più mestieri più faticosi che esistano. Se non mi sbaglio ne “La città della gioia”, Dominique La Pierre narra la tristissima storia di un riksciòwalla. Uomini che dormono dentro il loro taxi a pedali, il cui unico tesoro è un lucchetto, in un ambiente in cui la competizione è terribile, e non si fa altro che denigrarsi a vicenda (quante volte mi è successo che mentre ero su un risciò ne passava un altro vuoto e il suo conducente mi diceva “Ah, ma lui è malato, non vedi? Ti farà cadere!”). Che rischiano la vita continuamente, vita che comunque -considerando l’inquinamento, il pericolo, la fatica, il dolore, i monsoni, i 50 gradi- non si prospetta granché lunga. Eppure qui gli autobus non esistono, e il risciò rimane il principale mezzo di trasporto (sebbene forse il più infame, per chi lo conduce). Mentre mi abbandonavo a queste riflessioni e ciondolavo la testa conciliante alle parole ormai incomprensibili del mio Caronte (e questo lo dico con il senno di poi, certo), un gruppo di bambini appena usciti da scuola ha circondato il risciò, salutandomi con le loro vocette squillanti. Io non ho esitato a tirar fuori la mia amata macchina fotografica, e loro, a quanto pare non aspettavano altro: si sono messi in posa e poi si rimiravano sullo schermo. Arrivata finalmente a destinazione, ho fatto una foto a Raju,il riksciòwalla, che mi ha lasciato il suo indirizzo di casa per mandargliela posta. Ovviamente non elettronica. Che tenero.

Entro nel “beauty parlour”, di fronte a me una stanza, anzi no: uno sgabuzzino con una parete azzurra. Qui è dove faranno i massaggi, mi dico. All’estetista dai tratti cinesi e dalla sari salmone chiedo il listino prezzi. Dice di non averlo, e mi chiede cosa voglio. Un po’ in hindi e un po’ in inglese (perché sfido chiunque a sapere come si dica “ceretta” in hindi!) cerco di captare i prezzi dei vari trattamenti. Ci assestiamo su: ceretta completa 200 rupie (3 euro circa), 100 rupie per manicure e pedicure, ho deciso di viziarmi, oggi. Più che altro ho dimenticato di portare forbicine ecc.... in valigia. Con timore osservo l’estetista tirare giù da una mensola impolverata una latta dai bordi arrugginiti, che mette sul fuoco a scaldare. Le indico la parete azzurra sperando si tratti della stanza in cui si fanno cerette, massaggi e così via, ma proprio mentre la indico mi rendo conto che è solo un muro che conduce ad un cortile. No, no, siediti sulla sedia, mi intima. Una meravigliosa sedia da dentista nera, che neanche in Bielorussia erano così scalchignate! Comunque mi siedo, e guardo con terrore alla latta bollente di fronte a me. La mia aguzzina mi fa allungare le gambe e appoggiare i piedi su uno sgabello rivestito di carta da parati e mi dà un asciugamano (una asciugamani, come dicono la Mary e la Vale) per coprirmi le pudenda. Comincia a stendere la cera con una spatola di metallo, incurante del mio sguardo spaventato. Nel frattempo, noto che la tenda sulla porta non è tirata, quindi le chiedo di ovviare al problema, ma mi risponde che tanto fuori il vetro è nero (ammazza, ne sanno una più del diavolo queste estetiste autoctone!), infatti dopo poco ammiriamo l’espressione concentrata di un bambino che si scaccola fuori dalla nostra porta e si rimira poi soddisfatto.
Dopo neanche una decina di minuti che sono “sotto i ferri” entra una ragazza, che a quanto fare deve fare un lavoro molto veloce, per cui io vengo costretta a sedermi sull’altro scranno e aspettare, mentre l’estetista con un filo bianco che tiene tra i denti e poi attorciglia, definisce le sopracciglia alla cliente. Altro che pinzetta! Una volta finito, la ragazza esce e io torno a soffrire, ma anche questo dura poco, perché arriva un’altra cliente a cui deve fare le sopracciglia. Di fronte al mio imbarazzo mi rassicura con un “lady, lady!”. Sì bè, ci manca solo che entrino uomini, già mi vergogno così, figuriamoci!
Quindi mi tocca aspettare ancora e poi è di nuovo il mio turno. Quando le chiedo se può farmi l’inguine mi guarda inorridita manco fossi Jack lo Squartatore in persona, “NAHIN! NAHIN!” (no! No!). Era talmente scandalizzata che mi aspettavo mi buttasse addosso l’acqua del Gange per purificarmi (che poi, cioè… parliamone!)! Nel frattempo mi domando come farà a depilare la parte posteriore delle gambe, ma a quanto pare il problema non si pone. Non lo fa, e basta. Ecco l’efficienza indiana. Per lei è apposto così.
Vabbè, mi rifarò con la pedicure e la manicure. Nel frattempo, a quanto pare la manicure e la pedicure sono aumentate di prezzo. Quindi sono costretta a intavolare una discussione anche piuttosto lunga e animata (ché lo sapete che io sono pacifica e mai polemica) sui prezzi e su quanto era stato concordato in precedenza. Finalmente inclina la testa verso sinistra, chiude gli occhi e mormora “Tik he” (tipica espressione indiana per dire “va bene”). Mi passa sulle gambe e sui piedi una spugna imbevuta di acqua e sapone in un catino, e poi passa alle braccia e alle mani, che mi fa immergere nel suddetto catino. Mi lucida un po’ le unghie e poi afferra un tronchesino e comincia a tagliare. Malissimo, peraltro. Mi convinco che sistemerà tutto con la limetta (il cosiddetto “labor limae”, ahahah), invece no. Non è capace di usarla, e mi fa venire la pelle d’oca, così mi vedo costretta a prendere in mano la situazione e limarmi da sola le unghie. Mi aspetto che per lo meno mi faccia una buona pedicure, e le indico i miei piedini. Ma lei afferma che la pedicure l’ha già fatta. Cioè, dove? Quando? Com’è possibile che io non me ne sia accorta??? Le faccio il gesto delle forbici e lei mi spiega che no, percaritàd’Iddio, la pedicure qui si fa così, con la spugna, e non si tagliano le unghie (non parliamo poi dello smalto!), io le rispondo contrariata che per mettere i piedi in una bacinella d’acqua e sapone posso farlo benissimo anche a casa, ma non c’è niente da fare. Qui si fa così. Allora voglio almeno farmi una pulizia del viso come si deve, questa la farà coi fiocchi, dài. Ci si accorda su 450 rupie per tutto compresa pulizia viso e schiena.
Improvvisamente adocchio la mia borsa che langue sul pavimento con un’immensa macchia nera, di cui non si capisce l’origine. Poi mi accorgo che è il mio trattopen, che avevo dimenticato aperto dopo che il riksciòwalla l’aveva adoperato per scrivere il suo indirizzo. E così cerco di pulirmi le mani completamente nere, e cerco di bagnare la borsa con un po’ dell’acqua e sapone della bacinella di cui sopra.
Poi comincia la pulizia del viso, crema, massaggio, maschera… Poi mi sciacqua la faccia… E mi accorgo che l’acqua è sempre quella, in cui prima ho pucciato i piedi (e ve lo spiego quanto possano essere puliti i miei piedi qui, a furia di andare in giro a piedi nudi o in infradito, nelle stradine lerce e polverose e piene di mine), ma soprattutto in cui ho pulito la borsa sporca d’inchiostro!!!
Comincio a ridere da sola e mi dico che è inutile prendermela, sono in India, qui funziona così. Poi anche la figlia della mia carnefice, che ha assistito allo spettacolo, lo fa notare alla madre: io capto la parola kalam, penna, e le ripeto nella mia hindi maccheronica che l’acqua è sempre quella. Altro che “panta rei”, e Siddharta che non si bagna mai nella stessa acqua!
Ma fa niente, dài, koi bat nahin, come dicono qui. La situazione è talmente paradossale che non riesco a far altro che ridere e ridere e ridere ancora.
Per finire, apro la borsa per pagare e l’aguzzina adocchia due assorbenti: mi chiede cosa siano. Eh, come te lo dico in hindi??? Riesco a spiegarglielo in qualche modo e comincia l’inquisizione : “Ma dove li hai presi? Ah, in Italia sono così? Ma quanto durano???” Cavolo, mi pareva di essere di fronte a una spia della Lines indiana!!!
Poi ho scattato le foto, con somma gioia della boia e della figlia, e ho promesso che tornerò presto e gliele porterò. Ci tornerò di sicuro, più che per fare la pulizia del viso che, inchiostro a parte è stata bellissima, per farmi quattro risate, perché è stata davvero un’esperienza esilarante!
Sul risciò che mi riportava a casa ridevo da sola, mentre il riksciòwalla mi squadrava perplesso.

Per oggi è tutto. E direi che è addirittura troppo!
Sò!

13 ottobre 2008

Stamane siamo andati a vedere l’alba. Vedere il sole sorgere dalle acque della sacra Ganga, i baba intonare canti e suonare, uomini lavarsi con il sapone, altri fare ginnastica, le sari colorate stese ad asciugare, le barchette illuminate dal sole del mattino, un indiano che si faceva grasse risate e prendeva in giro i turisti in barca. Uno spettacolo davvero suggestivo, dopo tutto.
Abbiamo bevuto il tè da un signore dall’espressione triste che lo vendeva sui ghat, per poi scoprire con orrore che le tazze venivano “lavate” nel Gange. Ecco la cosiddetta “sciacquatura dei panni in Gange”!
Poi la nostra guida ci ha portato per i vicoletti di Varanasi, e finalmente ci siamo fermati a mangiare la tanto sospirata colazione, all’indiana: una brodaglia piccante con verdure servita con pane fritto, del delizioso tè profumato al cardamomo e dolcetti fritti così dolci da far venire la carie solo a vederli. Il tutto a 9 rupie. Però mi è piaciuta, sicuramente molto di più della colazione all’occidentale nella German Bakery, dove per una crepe con zucchero e limone e un lemon-ginger-honey (praticamente acqua bollita con limone e zenzero, con l’aggiunta di miele) ho pagato ben 70 rupie!!!
Pasto ci ha poi portato in un tempio dove si trova una rappresentazione tantrica di Shiva, a cui chiedere il permesso per entrare a Varanasi e per conoscerla davvero. Io ed Ariele abbiamo offerto una mala (ghirlanda di fiori), e in cambio ci siamo presi delle belle pacche sulla schiena, non so, dev’essere un modo tutto indiano per dare delle benedizioni, fatto sta che non lesinano neanche con le donne.
Ah, poi il nostro eroe Ariele si è fatto fotografare come testimonial della prossima campagna pubblicitaria della MacroMan! Mentre gli scattavamo la foto un signore si è fermato a guardarci incuriosito e quando gliel’abbiamo mostrata ha cominciato a ridere.
Oggi quindi ho bigiato la lezione di hindi, con mio sommo dispiacere. No, dai, Raju è bravissimo, solo che alle 8 di mattina io proprio sono fusa. Più del solito, intendo.

A domani,
Sò!

lunedì 20 ottobre 2008

13 ottobre 2008

Ieri notte finalmente è arrivato il celeberrimo Fausto,che alias Pasto (così lo chiama Mangla, che non riesce a pronunciarlo bene), il figlio di Vrinda e Stefano, i fondatori della Kautilya Society, ovvero l’ONG che si propone di includere Varanasi e i suoi ghat (le scalinate che portano al Gange) nel patrimonio dell’umanità dell’Unesco. In sostanza Ram Bhavan, la nostra guesthouse, serve per finanziare questo progetto.
Per ulteriori informazioni vi rimando al sito:
http://www.kautilyasociety.com/heritage/
Pasto ha detto che ci porterà un po’ in giro in questi giorni, a conoscere un po’ Varanasi. Mi sono proposta per aiutarli nel loro progetto, in fin dei conti il tempo non mi manca!
Il nostro eroe, Pasto, appunto, si è offerto di scarrozzarci qua e là per mostrarci Varanasi, e farci conoscere le sue tradizioni. Infatti, come tutti i bambini indiani che si rispettino, oggi nel tardo pomeriggio siamo saliti in terrazza, muniti di bastone scaccia-scimmie, per far volare l’aquilone che Raju ha regalato ad Ariele. Infatti qui i ragazzini giocano con gli aquiloni, molto rudimentali, e addirittura si danno battaglia nei cieli illuminati dal sole del tramonto, è uno spettacolo meraviglioso. Pasto ha insegnato ad Ariele a farlo volare, (il video è qui: http://it.youtube.com/watch?v=K57TRPMwprs ) ma purtroppo ce l’hanno tagliato. Eh sì, perché in genere alla base del cosiddetto patang (aquilone) c’è un filo di vetro che taglia, ma noi siamo proprio dei dilettanti, delle schiappe, e avevamo solo il nylon. Game over, insomma. Il problema è sorto dopo, perché eravamo circondati da una cinquantina di scimmie! Che ridere, come potete ammirare nel video:
http://it.youtube.com/watch?v=tc5IG4bWuho
c’era “piccolo scimmiotto esplora il mondo” che veniva preso in ostaggio dalla sua mamma, che gli afferrava il muso e lo riempiva di baci. Poi lui cercava di staccarsi, ma la mamma lo riacchiappava e se lo sbaciucchiava di nuovo. Che non mi vengano a dire che l’uomo non deriva dalle scimmie. (Per quanto mi riguarda, sono io l’anello mancante della catena uomo-scimmia).
Oggi ho finalmente avuto l’impressione di amare questa città. Finora avevo paura ad esprimere le mie impressioni, le mie sensazioni, perché non volevo ammettere che non mi piaceva. Che mi irritava andare in giro ed essere chiamata in continuazione, che mi dava fastidio fare la gimkana per le stradine sporche, che non riuscivo a definire bella questa città, che mi sconcertava vedere la gente lavarsi e farsi il bagno nelle acque luride della sacra Ganga. Eppure oggi, per la prima volta, mi sono resa conto che la bellezza di Varanasi va ben oltre i miei canoni estetici di bionda ragazza occidentale. È una bellezza che si fa scoprire a poco a poco, ma che ti pervade la mente il cuore la pelle, come i suoi odori di fritto spezie spazzatura incenso cacca di mucca sapone gas di scarico rosa. Incredibile come in poche ore sia riuscita a cambiare idea su questa città; incredibile come guardare Varanasi illuminata dal sole del tramonto, da una terrazza che offre una vista mozzafiato sulla città vecchia e sul Gange cambi totalmente le prospettive, avvicini le persone (e anche le scimmie!).


Pasto stasera ci ha portato al ristorante “cinese”, che non è come quelli che ci sono in Italia: qui è gestito da indiani, e il cibo è “cinese” ma speziato all’indiana,e in alcuni casi parecchio piccante. Da segnalare alla Lonely Planet il dolce, una sorta di brownie caldo al cioccolato con gelato alla vaniglia. Una bontà! Al ritorno siamo rimasti coinvolti in un ingorgo nelle viuzze: un cavallo, due asini e una moto. Inutile dire che la natura ha avuto la meglio! Il nostro fotoreporter ha filmato questo momento: http://it.youtube.com/watch?v=gfAlVZ7zINE
Ora nanna, domattina alle 5.50 dobbiamo essere pronti, Pasto ci porta a vedere l’alba sul Gange!
Buonanotte,
Sò!

12 ottobre 2008

Stamattina ho assistito alla prima lezione di hindi, Raju è davvero bravo e simpaticissimo! Comincio domani alle 8, un’ora al giorno anche sabato e domenica. Speriamo bene! Ah, oggi ho finalmente comprato i limoni. Mentre tornavo a casa con il mio sacchettino, mi ha fermato un tizio che mi ha chiesto “Vat are you going to do, with these nimbu (limoni)?”. Io gli ho risposto “Li mangio!” in hindi, e lui rideva. Che idiota. Cosa vuoi che faccia con dei limoni?
E in hindi non esiste il doppio senso che c’è in italiano, ci tengo a precisarlo, eh!
Stasera sono andata con Ariele (quello “fortunated”, come si è definito lui) a mangiare al Monalisa, finalmente carne! Ok, pollo, ma pur sempre carne!

A domani,
Sò!
P. s.: Oggi ho chiesto ad Amarnath riguardo alla banconota presunta falsa, e mi ha detto che no, non è falsa, che è andato da un’altra persona e quella gliel’ha cambiata. Se la paura per i soldi falsi è così diffusa, sarà meglio che stia attenta.
P. p. s.: Finalmente un sogno "normale", per quanto un sogno possa essere definito tale!

11 ottobre 2008

Un altro sogno assurdo in cui, visto che ho il raffreddore, il manager della casa, Vishwanath asseriva che, per rispondere alle esigenze di risparmio della casa, era necessario adoperare un lenzuolo in quattro per soffiarsi il naso. Non parliamo dei problemi nel caso in cui uno dei quattro non fosse stato presente. Al risveglio ero di nuovo sudatissima; ho dichiarato ad Ariele che stanotte lascerò la porta “accesa” così magari passa un po’ d’aria.
Oggi sono andata con Michela e Cristina, le due ragazze di mediazione, in un negozio di sari. Ho comprato una sari stupenda. E non ci crederete, ma non è rosa! (Però era rosa il negozio in cui l’ho comprato) È verde smeraldo. Venerdì 17 dovrò ripassare in negozio perché gli ho fatto mettere delle pietruzze. In totale, per 5.80 m di seta di ottima fattura, più la lavorazione, ho pagato 2300 rupie, grosso modo 36 euro. Incredibile!
Dalla finestra della mia stanzetta vedo sempre una famiglia di scimmie che abita nel palazzo abbandonato (o in costruzione, non si capisce!) di fronte, e oltre al palazzo si vede il Gange, di un bel colore marrone.
Domattina vado da Raju, l’insegnante di hindi, per chiedergli se posso cominciare le lezioni dopodomani.
Ho scoperto che il cellulare non riceve gli sms, per fortuna qui c’è la connessione internet, addirittura il wireless.

10 ottobre 2008

Secondo giorno a Varanasi. Stanotte ho sognato che dal buco nella grata della finestra della mia camera era entrato un gatto e un topo. C’era anche la Mary nel sogno, sembrava così reale.
Pomeriggio sono finalmente andata a fare un po’ di compere: Amarnath e Soni (la nipotina dodicenne di Mangla) mi hanno accompagnato da un loro parente perché volevo comprare un salwar kamiz (la tunica con il pantalone). Sono stata lì un due orette buone, e non riuscivo proprio a decidermi, c’erano troppe cose belle!!! Qui nei negozi di vestiti si entra senza scarpe, ci si siede sul materasso che perimetra il negozio e ti portano tutto quello che vuoi vedere. Spesso ti portano anche il chai, il tè alle spezie con il latte.
Poi sono andata in un negozio meraviglioso, dove vendono quasi solo braccialetti, di vetro e di metallo, che qui sono l’ornamento di tutte le donne sposate. La tradizione vuole che alla morte del marito le préfiche rompano i braccialetti della neovedova. E infine ho comprato l’anello al naso, con sei brillantini. Pochi giorni prima di partire mi era venuta la fissa dell’orecchino al naso, visto che qui in India ce l’hanno tutti, ma la mamma mi ha fatto desistere vista la mia tendenza a farmi venire allergie di tutti i tipi.
Stasera stavo chattando su msn con Ale ed è entrato Amarnath con una banconota da 500 rupie: sosteneva che quella banconota, con cui io avevo pagato il mio salwar kamiz, fosse falsa, e voleva che gliela cambiassi. Io gli ho fatto vedere che non lo è affatto, ma lui sembrava convinto. Tuttavia, la questione mi puzzava alquanto, e gli ho detto che non avevo cambio. Ale mi ha consigliato sul da farsi, ma sinceramente ci sono rimasta malissimo, più per una questione di fiducia che per le 500 rupie. In fondo Amarnath è tra le persone della casa di cui dovrei potermi fidare ciecamente, e pensare che possa cercare di fregarmi mi fa male. Soprattutto perché ad oggi le ragazze non mi sembrano amichevoli e perché Dio sa quanto sia difficile trovare gente di cui potersi fidare ciecamente. La sera poi ne ho parlato con Mirco e ha detto che ha fatto lo stesso con lui, e che evidentemente è una fissa, quella dei soldi falsi, ma che non lo fa in malafede. Mah, sperèm! Ho mandato un sms alla Dolcini, ma chissà se mai le arriverà...

In ogni caso, avevo la netta sensazione di trovarmi in un film di Totò, "La banda degli onesti"!
Cambiando argomento, qui si mangia discretamente, per il momento non ho ancora assaggiato nulla fuori dalla casa. Mangla, prepara la colazione e il pranzo, ma ieri ero troppo stanca per cenare e oggi ha cucinato pollo per festeggiare la fine del periodo di digiuno (9 giorni di patate e poco altro per una festa religiosa). Mi hanno detto che anche per noi dovrebbe essere festa, visto che a quanto pare qui la carne non la cucinano mai.
Vabbè dai. Per il resto, qui fa caldo, spero di riuscire a dormire perché ieri è stata tragica: troppo troppo troppo caldo. Ad un certo punto s'è spento il ventilatore (è andata via la luce, e a quanto pare succede molto spesso), e quando mi son svegliata ero in un bagno di sudore.)

'Notte,
Sò!

Varanasi, 9 ottobre 2008

Finalmente a Varanasi. Finalmente in India. Venticinque ore, tra viaggio e attesa, ed ecco realizzarsi un sogno. Il mio sogno, da più di cinque anni, ormai. Da quella mattina in cui la professoressa ci ha messo in mano una pagina scritta in una lingua mai vista prima, हिन्दी ,la hindi, con tanto di figura perché altrimenti tutti avremmo preso il foglio dalla parte sbagliata। Da allora sono passati anni, ho viaggiato, certo, ma il mio desiderio più grande restava un viaggio in India. “Il viaggio”, come lo ha definito Patrizio Roversi. Ho aspettato a lungo, sperando in una qualche compagna di università con cui andare, ma invano. Allora mi sono fatta coraggio, e ho deciso di partire. Da sola. Vaccinazioni, soliti problemi burocratici dell’ultimo momento, feste di arrivederci, baci e abbracci ad amici e parenti, valigia: amuchina, qualche vestito, carta igienica, computer portatile, macchina fotografica, speranze, sogni, paure, aspettative.
I saluti all’aeroporto, e poi finalmente si parte. Scalo a Zurigo, e comincia l’avventura: Zurigo-Delhi, accanto a me una monaca tibetana con passaporto umanitario: non c’è data di nascita, né città di residenza, né cittadinanza. Sorride nel suo sorriso sdentato e mi aiuta a togliermi la felpa. Porge all’hostess un biglietto in tedesco, chiede le venga servito cibo vegetariano. Non ci capiamo, e aiutarla a compilare il modulo per entrare in India non è affatto facile, ma almeno ci abbiamo provato. Sorride riconoscente.
In aereo si comincia a chiacchierare con i vicini: un ragazzo spagnolo, Israel, un signore indiano che viaggia continuamente per lavoro, una signora salernitana, una nonnina indiana. Ci si confronta sul perché del viaggio, perché l’India. Quando dico che studio hindi mi guardano tutti ammirati, scrutano attenti e compiaciuti i miei appunti di grammatica, per non parlare di quando rivelo di chiamarmi Sonia. È un boato: Sonia come Sonia Gandhi, italiana come lei, così amata dagli indiani. E così il viaggio passa quasi in fretta, e ben presto arriva il momento dell’atterraggio.
Controllo dei documenti, ritiro della valigia.
Siamo in India! I manifesti ci danno il benvenuto a Delhi, pannelli in hindi dettano le regole da seguire per i viaggiatori. Cambio degli euro in rupie: 3840 rupie per 60 euro. Accompagno Israel a chiamare un taxi, e poi la notte è tutta mia. È ormai l’una, saluto il mio compagno di viaggio e vado nel lounge, ad aspettare la navetta per l’aeroporto nazionale di Delhi.
L’aereo per Varanasi è alle 10.40, e il tempo non passa mai. Cerco di addormentarmi sul divano in pelle nera, ma l’emozione è troppa, e Morfeo non vuole saperne di accogliermi tra le sue braccia. Vado in bagno, e sento chiaramente rumori inequivocabili provenire da fuori. Esco, e la responsabile è lì, che mi offre una salvietta dove asciugarmi e mi indica il lavabo. Per questa sua gentilezza -o forse per il concerto grosso tenutosi qualche istante prima- vuole una mancia. Per sua fortuna non ho spiccioli, e le porgo una banconota da 20 rupie (un terzo di euro, all’incirca), che guarda che occhi luccicanti e mi rivela che con quei soldi comprerà una tavoletta di cioccolato per la sua bambina, Puri.
Uno degli impiegati mi aveva detto che nel lounge non si può dormire, ma figuriamoci! Siamo in India, tutto è relativo. E nessuno mi sveglia, quando riesco finalmente ad addormentarmi, con una mano sui bagagli.
Alle 8 prendo la navetta; un altro check-in, ancora attesa, e finalmente posso salire sull’aereo che mi porterà a destinazione. Cerco di guardare dal finestrino, ma gli occhi si chiudono per il sonno, e si riaprono a fatica, grazie alla voce dello steward che mi chiede “Vegetarian sandwich?”; “No, thank you”, rispondo, e acchiappo al volo (sono in aereo, in fondo!) il mio panino al pollo e l’acqua al limone e lime in bottiglia.
Mezzogiorno: il momento del terzo -e ultimo- atterraggio, e non riesco a fare a meno di commuovermi. Le lacrime mi rigano il viso mentre scendo dall’aereo e un caldo soffocante mi avvolge nelle sue spire. La gente mi guarda e mi chiede se sto bene. Sì, certo che sto bene. Ma sono talmente felice da non riuscire a trovare le parole; annuisco e sorrido e mi avvio a prendere la valigia.
L’aeroporto di Varanasi è minuscolo: una stanzetta con il rullo per i bagagli e una, ancora più piccola, dove i miei compagni di viaggio indiani rincontrano finalmente la famiglia, mentre gli stranieri conoscono i loro accompagnatori. E io? Guardo gli ometti con i cartelli scritti a mano, con il nome delle persone che sono venuti a prendere, ma il mio non c’è. Tutti escono, contenti, io rimango sola con un poliziotto, un facchino e l’impiegato dell’aeroporto, a cui chiedo di chiamare Vishwanath, il manager della casa che sarebbe dovuto venirmi a prendere. Mi sembra di essere in quella vecchia pubblicità della Sip, alla Legione Straniera, quando Solenghi come ultimo desiderio prima dell’esecuzione chiede di poter fare una telefonata.

Ma Vishwanath c’è, appena fuori dall’aeroporto. Dò la mancia al facchino, e salgo in macchina con il mio accompagnatore. La guida è, ovviamente, a sinistra. Il caldo è insopportabile. Osservo dal finestrino: uomini che dormono su assi per strada, donne che trasportano acqua, bambini che giocano, animali che scorrazzano ovunque: capre, cani e, certo, vacche. Biciclette ovunque, risciò, Ape Piaggio colorati: il nostro tassista si fa strada a furia di clacson, ma non è il solo a suonare. Arrivando nel centro di Varanasi è tutto uno strombazzare di clacson, campanelli dei risciò, rombi delle moto, che si fanno strada così nel traffico convulso di veicoli di tutti i tipi, gente, capre, cani e vacche. Dai vetri di una vecchia Tata tutto mi sembra incredibilmente pittoresco, addirittura buffo. E io mi sento così fuori posto nella mia tunichetta colorata regalatami dalla mia prof e nei miei jeans, con la mia forma mentis così occidentale, e in un secondo tutto ciò che ho letto, studiato, visto a proposito dell’India svanisce.
Dopo una mezz’ora arriviamo davanti a un negozietto, una sorta di bar. Scendiamo e scarichiamo i bagagli, che un facchino affatto nerboruto trasporta in spalla per i vicoli stretti e sporchi, mentre io mi guardo intorno senza capire dove sono. Non riesco a trovare aggettivi per descrivere ciò che vedo, sento, provo, respiro. Mi sento come catapultata in un mondo nuovo, che non conosco e non mi conosce. Con il mio zaino da trekking seguo Vishwanath come in trance, spaesata, stremata, frastornata e accaldata. Ci fermiamo davanti ad una palazzina verde acqua, il manager suona il campanello. Entriamo.


Eccomi finalmente arrivata a Ram Bhavan, accolta da Mangla, la nostra cuoca e governante, e da Amarnath, suo fratello, il factotum, che mi hanno fatto sistemare nella mia stanzetta al terzo piano, pieno di piante, e con una bellissima altalena. La stanza è piccola ma molto luminosa, con vista scimmie, che non avevo mai visto così da vicino. E soprattutto… non sapevo fossero così cattive!
Ho mangiato un po’ e poi mi sono sistemata in camera. Ho conosciuto gli altri ragazzi che stanno qui: tre di loro studiano hindi come me: uno è un ragazzo toscano, Ariele, mentre le due ragazze, Michela e Cristina, sono addirittura della mia stessa facoltà, anche loro alunne della Dolcini. La cosa non deve stupire, considerato che la maggior parte dei miei compagni di hindi che è stata in India è venuta qui a Varanasi, ovviamente a Ram Bhavan.
Stasera sono andata da sola al ghat (ovvero la gradinata che conduce al Gange) principale, dove c’era in corso una cerimonia, in onore di Durga, la Durgapuja: un centinaio di uomini su un barcone con una statua della dea, e non si sono cappottati solo perché sono riusciti a bilanciarsi. E poi è stato scioccante, assurdo, addirittura terribile: tutti che mi chiamavano, mi fermavano per chiedermi da dove vengo, per invitarmi sul loro risciò oppure nel negozio del fratello del cugino del nonno dello zio. Ho cominciato a parlare con un ragazzino, che mi ha portato da un baba a farmi dire dei mantra, senza dei quali non sarebbe stato assolutamente possibile fare la puja, cioè la cerimonia dell’offerta di fiori/dolci o altro alla divinità. Così il baba ha cominciato a blaterare frasi per me senza senso, in sanscrito. Io dovevo ripetere ma dopo un po’, ho cominciato a biascicare e mugugnare giusto per non stare zitta, visto che il tipo insisteva tanto. Quando poi mi ha domandato se fossi sposata ho detto di sì, per evitare problemi (qui alla mia età le donne sono già sposate con figli, figuriamoci), e ho dovuto anche inventare il nome. Il primo che mi è venuto in mente. Quindi, dicevo, ho dovuto ripetere i mantra anche per il mio inesistente marito. Infine, ho lasciato che il Gange cullasse le due foglie contenenti fiori e una candelina rossa ciascuna, rivolgendo un pensiero, una preghiera al mio Dio. Il baba mi ha disegnato qualcosa sulla fronte con la polvere rossa; una volta finito tutto, mi ha chiesto 200 rupie, adducendo come motivazione il fatto che, insomma, il mantra era bello potente, e poi erano 100 per me e 100 per mio marito. Gliene ho date 50, ed era già tanto. Più camminavo e più venivo attorniata da bambini che volevano vendermi cartoline, fiori, foglie per la puja. Una situazione intollerante. Poi il ragazzino che mi aveva portato dal baba mi ha portato a vedere il negozio di sete di suo fratello, ma poi ho detto che dovevo andare e sono finalmente riuscita a seminarlo. Voleva essere pagato, ovviamente, ma io gli ho assicurato che il giorno dopo sarei andata a comprare qualcosa in negozio. Contaci, proprio.
Sono frastornata, sconcertata dalla sporcizia dei vicoletti, in cui sono riuscita anche a perdermi, tanto per cambiare, dalla gente che non mi lascia un attimo, dal non riuscire a dire “che bello”, dai bagnanti delle acque luride della sacra Ganga, dalle due ragazze della mia facoltà che non mi sembrano per niente amichevoli.
Ma ora sono stanca, e ho solo voglia di dormire. E già sarà un'impresa avvolgermi nella zanzariera bianca sopra il mio letto.

Buonanotte,
Sò!
P.s.: Ho fatto bene a portare rotoli e rotoli di carta igienica, qui a casa non c’è e per strada si vende un rotolo per volta.
Namasté