Stamane ci siamo svegliate presto per prendere la barchetta e osservare dalla Ganga lo spettacolo della Chhat puja. I ghat erano di nuovo affollatissimi, e faceva freschino. Freschino per gli standard di qui, eh, ciò significa che alle 6 di mattina del 5 novembre ho dovuto indossare la felpina.
Mentre il nostro Caronte viaggiava alla velocità di crociera di un chilometro all’ora, praticamente ad un metro dalla riva, noi ammiravamo le donne avvolte nelle loro sari variopinte, immerse nella Ganga con le loro prasaad (offerte)
Ed era tutto così magico e suggestivo, affascinante, poetico ed irreale, dai contorni sfocati come in un sogno, dove le macchie indistinte di colore si mescolavano ai volti ben delineati, assorti, ai sorrisi, ai brividi di freddo, alle preghiere, ai silenzi, ai canti e alle chiacchiere. E, dalla parte opposta, il sole che si levava dalle acque della Ganga: pennellate di rosso, rosa, giallo e arancione in tutte le loro sfumature Davvero emozionante.
Una volta scese dal nostro panfilo e aver discusso sul prezzo (come al solito), Mangla ci ha appioppato Soni, sentenziando che ormai era troppo tardi per andare a scuola, e quindi avremmo dovuto portarla a far colazione con noi. E pagare per lei, ça va sans dire. Evidentemente, non era sufficiente aver pagato 100 rupie (e all’inizio erano 200, ma io mi sono opposta categoricamente) per aver fatto da taxi a Mangla e Soni che dovevano recuperare Puja (per questo motivo la barca andava così piano e a pochi metri dalla riva), quando noi avremmo voluto andare dalla parte opposta.
Ad ogni modo, dopo una sostanziosa colazione alla German Bakery, siamo andate all’appuntamento con Anna, direttrice dell’ONG Action Benares (http://www.actionbenares.org). Dopo aver bevuto un chai insieme, abbiamo accompagnato Anna e gli altri ragazzi, tutti vestiti rigorosamente di bianco, sul ghat principale, mentre un corteo di ragazzine curiose ci seguiva. Spesso le persone vanno a morire sui ghat, e Action Benares si occupa, tra le altre cose, di medicare queste persone malate, offre loro assistenza andando direttamente da loro. Le piaghe dei lebbrosi venivano amorevolmente disinfettate, medicate e bendate. Chi si rivolgeva agli infermieri vestiti di bianco riceveva innanzitutto un sorriso e una parola di conforto, così importanti per chi è un intoccabile, considerato dunque un reietto della società, e poi antibiotici, bende pulite, assistenza medica.
Ci siamo poi spostati all’ospedale, dove Action Benares si occupa di offrire assistenza nel reparto “grandi ustionati” ed ortopedia. Fuori dal reparto “grandi ustionati” giacevano bambini completamente neri, coperti solo da una garza di cotone, che si lamentavano e piangevano. E questo era solo l’inizio. Abbiamo visto decine di persone completamente ustionate, in particolare donne. Ci hanno spiegato che per alcune di loro è stato un incidente, ma che sempre più spesso si tratta di tentativi di suicidio per sfuggire ad una vita di stenti e disperazione. Oppure, sono le suocere che danno loro fuoco - o fanno ingurgitare loro acido -per poter permettere al figlio di risposarsi ed avere un’altra dote. Queste situazioni sono inconcepibili per noi, ma devono essere poste nel contesto indiano, in cui la donna, di proprietà del padre, è presto costretta a sposarsi ad un uomo che non conosce, e a trasferirsi nella sua casa. Diventa così proprietà del suo sposo e della sua famiglia, e molto spesso vittima di soprusi, violenza e vessazioni.
Quegli occhi neri, così vibranti di disperazione e dolore, e quelle carni bruciate, il pianto di un bambino senza pelle, mi resteranno nella mente, negli occhi, nelle orecchie per sempre. E non riesco a scriverne senza piangere. Ma stamattina dovevo trattenere il magone, e sorridere, mentre entravo e uscivo da quelle stanze spoglie, sconvolta da tanta sofferenza. E non era un sorriso falso, ma un sorriso di speranza, di incoraggiamento, di vita. Così come ci raccontava Anna, che, di fronte a tanto dolore, la sua reazione era ridere e far ridere. Il sorriso è l’unica arma che avevo in quel momento, l’unica forza che potevo trasmettere. Ma erano loro a dare forza a me, quando vedevo le loro labbra incurvarsi in un sorriso, e i loro occhi brillare per un istante.
Queste persone, che in Italia si troverebbero in terapia intensiva, stanno invece in un ospedale fatiscente, senza la benché minima assistenza medica (se non quella offerta, appunto, da Action Benares). Di fatto, l’assistenza viene offerta solo a coloro che possono permettersi di allungare una mazzetta al medico. E, a questo punto, conviene pagare una clinica privata.
Dopo siamo andate al reparto ortopedia, una grande camerata dove si trovavano uomini, donne e bambini, con i muri scrostati e le tubature rotte. I ragazzi di Action Benares si sono seduti al capezzale di una ragazzina che piangeva e si lamentava, nel delirio della febbre. Anna ci aveva avvertito che avremmo sentito puzza. Ma quando hanno cominciato a toglierle il sacchetto di plastica che le avvolgeva il piede, e a toglierle le bende… Un odore di morte, di carne putrefatta pervadeva l’aria, perforava le nostre narici, mentre le grida strazianti di quella bambina che chiamava la sua mamma dilaniavano il cuore e le orecchie, malgrado fossimo uscite dalla stanza.
Avevo ormai raggiunto il limite, la mia soglia di sopportazione della sofferenza altrui. Ma ormai la nostra visita all’ospedale era finita. Di ritorno a casa, Anna si è detta stupita della nostra capacità di sopportare tanto dolore, visto che in genere le persone scoppiano in pianti ininterrotti o addirittura vengono prese da malore, di fronte a quelle realtà.
E io mi chiedo come facciano loro, a confrontarsi ogni giorno con il dolore, con la frustrazione e il senso d’impotenza, la rabbia verso un sistema corrotto e perverso che non ha nessun rispetto per la persona, per la sua dignità, per la sua sofferenza.
Ma ora il mio mal di testa è diventato lancinante - perché io non somatizzo mai! - è ora di andare a letto. È circa una settimana e mezza che ogni giorno mi sveglio con qualcosa di diverso: mal di testa, debolezza, raffreddore, diarrea. Ogni giorno è una sorpresa. Ma sono sempre più convinta che si tratti di malessere psicosomatico. E sono sicura, ma sicura al 100 per cento, che dopo aver visto la sofferenza, quella vera, da domani starò bene.
Buonanotte,
Sò
5 commenti:
baci e abbracci
ciao
ciao so e buon viaggio pa
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